Rispetto alla partecipazione femminile ai movimenti ed agli scioperi che precedono la Liberazione, la presenza delle donne nella ricostituita Cgil unitaria è estremamente esigua.
Lo stesso Di Vittorio al I Congresso Cgil dell’Italia liberata, tenutosi a Napoli nel gennaio 1945, dichiara “che un difetto essenziale dei nostri sindacati è l’assenza delle donne” (LEGGI).
Per compensare questa assenza il Congresso del 1945 delibera l’istituzione di una Commissione femminile nazionale. La Commissione sarà formalizzata due anni dopo, al Congresso di Firenze del giugno 1947: il contesto politico nazionale cambia radicalmente, viene meno il patto che aveva sostenuto l’azione dei partiti antifascisti, i comunisti escono dal Governo, sale la tensione internazionale. Nel Paese si acuiscono i conflitti sociali in un clima di contrapposizione politica sempre più acceso. Nelle campagne cresce la protesta contadina che si manifesta con un imponente movimento per l’occupazione delle terre incolte e con duri scioperi bracciantili. Molte sono le vittime, a partire da Giuditta Levato, uccisa il 28 novembre 1946 in Calabria, mentre Portella della Ginestra (1947) inaugura la stagione delle stragi.
Nella prima metà degli anni Cinquanta le principali rivendicazioni delle donne sul terreno del lavoro sono l’attuazione del dettato costituzionale sulla parità salariale e la realizzazione di una tutela della maternità che garantisca non solo migliori condizioni di lavoro, ma anche una serie di servizi esterni di sostegno (asili nido, mense, ecc.).
La legge sulla tutela delle lavoratrici madri, per la quale si era battuta Teresa Noce, verrà approvata nel 1950. Il testo definitivo, pur se limitativo rispetto alla proposta Noce, rappresenta un importante risultato per le lavoratrici italiane, ma apre un altro fronte di rivendicazioni; molte imprese, infatti, per aggirare la legge, impongono alle assunte la cosiddetta clausola di nubilato, che prevede il licenziamento in caso di matrimonio. Sempre per iniziativa di Teresa Noce nel maggio 1952 viene presentato alla Camera il progetto di legge per l’«Applicazione della parità di diritti e della parità di retribuzione per un pari lavoro», ma l’accordo sulla parità sarà raggiunto solo il 16 luglio 1960 relativamente ai soli settori industriali (le donne otterranno la parità salariale in agricoltura nel 1964).
Nel 1958 era stata intanto approvata la legge sulla tutela del lavoro a domicilio, mentre sono del 1963 le leggi che vietano il licenziamento delle donne in caso di matrimonio e l’ammissione delle donne ai concorsi per entrare in magistratura.
Nei primi anni Sessanta il miglioramento delle condizioni di lavoro delle donne spinge la Cgil a considerare esaurita l’esperienza delle Commissioni femminili. Il corollario organizzativo di questa nuova impostazione è l’istituzione di un Ufficio confederale di settore, non elettivo, affiancato da una Consulta centrale in cui figurano militanti di base e donne dirigenti delle diverse categorie. La Commissione femminile viene così sostituita da un Ufficio delle lavoratrici con compiti di coordinamento dell’attività delle sindacaliste.
Intanto il 1968 e l’Autunno caldo creano aspettative di emancipazione e conquiste anche nell’universo femminile: le confezioniste ottengono un buon contratto già all’inizio del 1968, mentre le ortofrutticole e le addette al commercio crescono di numero riuscendo nel 1973 a raggiungere un ottimo risultato contrattuale.
A partire dai primi anni Settanta tuttavia si registra una battuta di arresto nel percorso verso l’emancipazione e la rappresentanza. Nel Comitato direttivo della neonata Federazione Cgil-Cisl-Uil non vi è neppure una donna. Scarsa rappresentanza le donne trovano anche nella successiva tornata elettorale del Congresso di Bari del 1973. Le donne elette nel Consiglio generale nel 1973 sono 12 (su 211 membri, pari al 5,68%); 2 nel Comitato direttivo (su 64 membri, pari al 3,1%). In un clima generale non favorevole viene però raggiunta l’importante conquista della legge sul lavoro a domicilio. La legge 877/1973 sostituisce la precedente legge 13 marzo 1958, n. 264.
Anche se il sindacato in questi anni le nomina di rado, e ancor meno le chiama negli organismi dirigenti, le donne ci sono e sono larga parte dei movimenti che crescono nel Paese. Lo testimoniano le numerose inchieste sulla condizione operaia, nelle quali, mentre si parla in modo generico di “lavoratori”, emergono molte voci femminili: sono le operaie della Lebole di Arezzo, le cotoniere del gruppo Cantoni, le lavoratrici della Dalmas di Bologna e della Apollon di Roma, che scendono in sciopero, molte per la prima volta, contro il cottimo, per l’abolizione della quarta categoria, per i diritti sindacali in fabbrica.
Si impone intanto, a livello organizzativo, l’esperienza del Coordinamento donne della Flm. Il confronto con questa nuova realtà mette profondamente in discussione l’approccio della Cgil ai temi della condizione della donna e la sua capacità di dare alle donne una adeguata rappresentanza al suo interno. La Conferenza nazionale delle donne dell’aprile 1981 prende atto delle novità e sollecitazioni portate in tutta Italia dalla esperienza dei Coordinamenti donne della Flm, e pone l’esigenza di introdurre anche in Cgil una analoga forma di rappresentanza delle donne. Il X Congresso confederale tenderà a confermare la linea intrapresa.
Certo bisogna ammettere che all’inizio nei gruppi dirigenti del principale sindacato italiano c’erano solo maschi. Dalla data di nascita (1906) devono trascorrere circa 80 anni prima che una donna, Donatella Turtura, sia chiamata da Luciamo Lama a far parte della Segreteria confederale. Un salto di qualità che aveva però visto altre donne conquistare un primato nelle categorie: Teresa Noce segretaria dei tessili, Lina Fibbi, Nella Marcellino.
Dirà di loro Guglielmo Epifani in occasione del passaggio del testimone e della elezione al ruolo di segretario generale della Cgil di Susanna Camusso, prima donna a ricoprire la carica, nel novembre 2010: “Voglio fare gli auguri di cuore - convinti e sereni - a Susanna. Per quanto la fase che è chiamata ad affrontare con la nuova responsabilità è realmente densa di problemi e durezze, non ho il minimo dubbio che li affronterà nel modo più serio, più adeguato possibile. Ne ha le capacità, la determinazione, l’esperienza. Ha il vostro e il mio appoggio. In Cgil non si sta tanti anni in trincea, in posizione di responsabilità così a lungo e così con stima, se non si hanno le qualità giuste. Di testa e di cuore. Di conoscenze e di passione, di capacità e di determinazione. Per una donna poi sappiamo quanto tutto sia più difficile tra responsabilità di lavoro e quelle di cura e di famiglia. Susanna sarà una grande segretaria della Cgil, e sarà anche la mia segretaria. Dobbiamo essere contenti della scelta fatta. E del fatto storico che abbiamo determinato: non solo una donna alla guida della Cgil, ma una donna alla guida di uno dei più grandi e rispettati sindacati mondiali. Superiamo così un ritardo non accettabile, e insieme riconosciamo anche così il ruolo che nella storia delle classi lavoratrici italiane hanno avuto le donne, quelle che abbiamo rievocato e studiato nel corso del nostro centenario. Le braccianti, le tessili, le maestre, le impiegate, le operaie e tutte le altre fino ai giorni nostri. E le tante figure di questa storia: Argentina Altobelli, Lina Fibbi, Teresa Noce, Nella Marcellino, Donatella Turtura e voi che siete qui nei vostri ruoli e responsabilità. Vinciamo una prova importante, e diamo un segno a tutta la società italiana, alla continua sottovalutazione e discriminazione di genere, al ruolo, all’uso, all’abuso che si fa della donna e del suo corpo, ai quanti vogliono tornare indietro”.
Oggi le donne in Cgil sono circa il 50% degli iscritti, il 46% nei lavoratori attivi. Hanno circa la metà dei delegati nelle assemblee e nei comitati direttivi. Sono alla guida di numerose camere del lavoro e strutture regionali nonché di categorie nazionali (metalmeccanici con Francesca Re David, funzione pubblica con Serena Sorrentino, agroindustria con Ivana Galli, commercio e servizi con Maria Grazia Gabrielli solo per citarne alcune) e costituiscono il 50% dei membri della Segreteria confederale (nella Segreteria confederale la percentuale di donne è gradualmente aumentata a partire dal 1986 sino a divenire paritaria nel 2002) e più del 40% del Comitato direttivo confederale (con il 1996, anno del XIII Congresso, la ‘Norma antidiscriminatoria’ ha assunto un carattere vincolante e soprattutto è stata introdotta senza alcuna riserva “stabilendo che nessuno dei due sessi può essere rappresentato al di sotto del 40% o al di sopra del 60%” - Statuto Cgil, art. 6).
Diceva del resto qualche anno fa Susanna Camusso: “Il sindacato è per definizione un’organizzazione collettiva. Considero il fatto che oggi una donna diriga la Cgil non un successo personale ma il frutto di una lunga storia anche complicata e conflittuale delle donne nel sindacato. Poi certo, le donne sono più disponibili all’ascolto e a mettersi in discussione. Però non avere mai certezze è anche molto faticoso. Il messaggio che manderei alle giovani - e che ripeto spesso anche a mia figlia - è che un esercizio collettivo è di per sé un cambiamento e che non è vero che parole come ‘femminismo’ sono vecchie. Sembrano vecchie perché vi illudono che non ci sono discriminazioni. Invece vi scontrate con gli stessi problemi con cui ci siamo misurate noi. La realtà non è cambiata e richiede parole già usate e solo apparentemente usurate”:
#donne #cgil #lavoro #uguaglianza #dignità.
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