Passa ai contenuti principali

E’ morto a Roma, all’età di 92 anni, Michele Pistillo


E’ morto a Roma, all’età di 92 anni, Michele Pistillo, politico di grande intelligenza, rigore, cultura.

Nato a San Severo (Foggia) il 4 novembre 1926, milita politicamente nel Partito comunista italiano nel quale entra nel 1943 per prenderne la tessera l’anno successivo.
Segretario della Federazione comunista di Bari tra il 1955 e il 1962, nel 1956 entra nel Comitato centrale del Partito dove rimane fino al 1969.
Dal 1962 al 1968 è segretario della Federazione di Foggia del Pci, quindi deputato della V e VI Legislatura. Senatore della Repubblica nella VII Legislatura, eletto nel collegio di Cerignola  è - dal giugno 1976 al giugno 1979 - parlamentare Europeo.
Sempre attento ai problemi del suo Meridione, Pistillo è storico e pubblicista di grande competenza ed efficacia.

La sua passione per i temi della questione meridionale lo porta ad approfondire alcune personalità come Grieco e Gramsci ma soprattutto Giuseppe Di Vittorio cui dedicherà studi e approfondimenti che restano ancor oggi un punto di riferimento imprescindibile.

Lo ricordiamo riproducendo il suo intervento - inedito - a Bucarest nella seduta straordinaria del Consiglio generale della Fsm[1] dedicato a Giuseppe Di Vittorio il 30 ottobre 1987, in occasione del 30° anniversario della scomparsa del segretario generale della Cgil.

“Di Vittorio era di origine un umile bracciante agricolo, semianalfabeta, uno dei tanti proletari poveri ed oppressi della Puglia, schiacciati dalla miseria, dalla disoccupazione, dall’analfabetismo, da un regime sociale ingiusto, disumano, e violento - racconta nella sua prosa asciutta ed elegante Pistillo -. Egli ha vissuto sulla sua pelle tutta l’esperienza e le lotte che il proletariato italiano ha dovuto sostenere per oltre mezzo secolo: per conquistare e difendere il diritto all’organizzazione dei lavoratori, il diritto a pensarla con la propria testa, a vedere riconosciuta e rispettata la loro personalità umana e civile; il diritto a contare, ad istruirsi, a sentirsi una forza che decide e non una massa amorfa; il diritto ad avere le proprie organizzazioni sindacali, espressione della propria volontà, contro ogni burocratismo, ed imposizione dall’alto. Grazie alla sua volontà eccezionale, allo studio tenace, alle esperienze compiute, sia quelle negative che quelle che hanno avuto per lui un valore positivo, in breve volger di tempo, prima ancora dell’avvento del fascismo, Di Vittorio era già in Puglia, ma anche nel resto del Paese, un dirigente sindacale esperto, un capo amato dai lavoratori, nonostante i suoi orientamenti che erano quelli del sindacalismo rivoluzionario, e che affidavano al sindacato compiti e funzioni che non potevano essere assolti solo dal sindacato. Il superamento di questi orientamenti coincide, purtroppo, con la distruzione totale di ogni libertà nel nostro Paese, con l’avvento del fascismo, con l’imposizione di un sindacato di regime, obbligatorio, burocratico, lontano dai reali bisogni delle masse, al servizio del grande padronato, sulle ceneri dei liberi sindacati che erano sorti già all’inizio del secolo e che tanti sacrifici erano costati ai lavoratori italiani.
Di Vittorio intraprende, a questo punto, nelle fila del Partito comunista italiano, una lotta accanita, senza soste, contro il fascismo, per la libertà del popolo italiano, per la rinascita di un sindacato libero e democratico. Lunghi anni di esilio, di lotte politiche, di arresti e di detenzione, di scontri in campo aperto al fianco dei repubblicani spagnoli, faranno di lui l’uomo più adatto e impegnato nella ricostruzione del nuovo sindacato libero, volontario, democratico, unitario che risorge all’indomani della caduta del fascismo. Il Patto di Roma che unisce le tre maggiori correnti del proletariato e dei lavoratori italiani (comunisti, cattolici, socialisti) porta indelebile la sua impronta e così sorge in Italia la più grande organizzazione sindacale che la storia del nostro Paese ricordi. Di Vittorio si identifica fino in fondo con la CGIL e fino alla sua morte dà tutto se stesso per farne una grande forza dei lavoratori, al servizio dei lavoratori, indipendente ed autonoma dai partiti, dai governi, dai padroni; una forza democratica avanzata, impegnata non solo sul terreno strettamente rivendicativo e salariale, ma su di un ampio arco di questioni che strettamente riconducevano ai grandi problemi del Paese, al suo sviluppo civile e democratico […] Un uomo di autentica cultura che tenta di proiettare il sindacato, e vi riesce, su di un piano di grandi dimensioni. Nel corso di quest’opera che non è esagerato definire di portata storica, egli diventa il dirigente più amato dai lavoratori, oltre a tutto per la sua umanità, per la sua generosità, per non essersi risparmiato fino all’ultimo istante della sua vita.
Il suo impegno a livello internazionale, nella sua qualità di presidente della FSM, non è stato meno importante e significativo. Da una lettura attenta dei suoi discorsi, dei suoi scritti, emergono dei punti sui quali egli insiste con tenacia, con convinzione, con grande forza di persuasione, anche nelle polemiche che ci sono state, e che egli conduceva con grande chiarezza ed energia. Questi punti possono così essere riassunti:
- unità di tutti i lavoratori, di tutto il mondo;
- le forme di organizzazione possono essere le più varie  e diverse essendo queste un mezzo e non un fine; 
- capacità di lotta e di concertazione delle lotte più importanti a livello internazionale (per la pace, la libertà, per specifiche rivendicazioni);
- affermazione dei diritti sindacali in tutti i paesi, indipendentemente dai loro regimi sociali e politici;
- in primo luogo autonomia, indipendenza del sindacato dai regimi, dai padroni, dai partiti;
- solidarietà fattiva, concreta, operante, con i lavoratori che lavorano e lottano nei paesi nei quali sono limitate, offese, represse le libertà in generale e quelle sindacali in particolare.
In questo senso egli ha sempre portato una grande attenzione ai lavoratori dei paesi ex coloniali, del terzo mondo, ai quali sentiva di potersi rivolgere da fratello e dai fratelli di lotta e per i quali auspicava e desiderava una solidarietà fattiva, coerente, fatta non solo di parole.
Non abbiamo, qui, il tempo per parlare ampiamente della sua attività di presidente della FSM. Vorrei ricordare soltanto un episodio. Al III Congresso Sindacale mondiale che ebbe luogo a Vienna, nell’ottobre del 1953, Di Vittorio lanciò l’idea di una Carta dei diritti sindacali e dei diritti democratici dei lavoratori di tutto il mondo nei luoghi di lavoro. Tra l’altro Di Vittorio affermava: “Noi esigiamo la piena libertà d’organizzazione sindacale per tutti i lavoratori, senza alcuna discriminazione, in tutti i paesi del mondo’.
“Noi esigiamo che tutte le organizzazioni sindacali siano libere e indipendenti e che nessun governo si arroghi la assurda pretesa di immischiarsi nel loro funzionamento e 
nel loro orientamento”.
“Noi esigiamo che ogni lavoratore, nel mondo intero, sia libero di aderire all’organizzazione sindacale di sua scelta e di militare attivamente nelle sue fila”.
“Noi esigiamo che tutti i dirigenti sindacali, di ogni grado, siano eletti democraticamente”.
“Noi esigiamo il pieno rispetto della dignità e della personalità umana dei lavoratori nei luoghi di lavoro e della libertà di espressione e di organizzazione”.
E’ difficile negare il valore permanente, universale di queste idee e di queste rivendicazioni, come è stato sottolineato ancora dall’ultimo congresso nazionale della CGIL.
Gli ultimi anni della sua vita, il 1956, in particolare, e il 1957 furono vissuti da Di Vittorio con grande passione, preoccupazione, amarezze, anche delusioni. E’ il periodo in cui aumentano le differenziazioni e le diverse valutazioni nel massimo gruppo dirigente della FSM e fatti gravi in alcuni paesi socialisti denunciano, tra l’altro, la necessità di una lotta accanita perché i sindacati appartengano ai lavoratori ed al popolo, perché in essi sia distrutto ogni spirito burocratico, ogni distacco tra masse e dirigenti, ogni dipendenza da partiti e governi qualunque sia il loro orientamento politico e ideologico. E’ difficile negare che questo assillo di Di Vittorio è quanto mai attuale e va tenuto pre sente in tutti i paesi, in molti dei quali, ad incominciare dalla Italia, sono in corso attentati a specifici diritti sindacali, tra i quali il diritto di sciopero.
A trent’anni dalla scomparsa di Giuseppe Di Vittorio, la situazione nel nostro Paese, in Europa, nel mondo è certamente profondamente mutata.
I recenti lampi sinistri annuncianti una crisi grave delle economie dei maggiori paesi capitalistici, ad incominciare dagli Stati Uniti d’America; il fallimento del reganismo, nei suoi aspetti più evidenti di consolidamento del potere dei grandi gruppi monopolistici e delle multinazionali, a tutto danno dei lavoratori e dei popoli che si dibattono tra debiti paurosi e la lotta perla sopravvivenza; la spinta a contenere al massimo i salari, le libertà sindacali, il posto di lavoro (nella sola Europa della CEE siamo a 16 milioni di disoccupati) sono tanti segnali che il contrattacco conservatore e reazionario è in serie difficoltà. Mai come in questo momento è apparsa con tutta evidenza la contraddizione profonda fra lo sviluppo delle forze produttive, di nuove ed avanzate tecnologie, prima impensabili, e i rapporti di produzione vecchi e superati o sistemi e organizzazioni del lavoro, della produzione e della distribuzione che sono in contrasto con le esigenze di una società moderna. Si pone, oggi, con forza ed intelligenza quella che Di Vittorio avrebbe definito una riscossa del mondo del lavoro, partendo dall’Europa, per svilupparla in tutto il mondo, con chiarezza e coerenza negli obiettivi e grande elasticità di forme e di organizzazione.
La stessa collocazione organizzativa della CGIL, all’interno della Confederazione europea dei sindacati, sottolinea l’impegno della nostra organizzazione nel cuore dell’Europa, senza che questo possa significare allentamento o diminuzione di quella tensione unitaria, nel senso dell’unità dei lavoratori di tutto il mondo, che l’ha sempre contraddistinta […]. Ritornano alla nostra mente le parole che Di Vittorio pronunciò nel suo discorso di apertura del 3° Congresso Sindacale Mondiale, nell’ottobre del 1953 e che ci sembrano quanto mai attuali e vive: “Fratelli, i nostri interessi sono solidali, il nostro destino è comune. Uniamoci e tutti insieme, noi potremo modificare la situazione in ogni singolo paese e nel mondo intero, noi potremo conquistare migliori condizioni di vita e di lavoro, noi potremo salvaguardare la pace e spingere tutta la società sulla via di un superiore livello di benessere, di giustizia sociale e di civilizzazione umana. A coloro che predicano l’odio, noi opponiamo l’esigenza dell’amicizia, degli scambi economici e culturali tra i popoli; a coloro che predicano la guerra noi opponiamo l’esigenza suprema della pace; a coloro che vorrebbero separare i lavoratori dei paesi capitalistici e coloniali dai loro fratelli dei paesi socialisti, noi opponiamo la solidarietà operante e la fraternità tra i lavoratori del mondo intero; a coloro che vorrebbero perpetuare l’oppressione e lo sfruttamento, la miseria e la barbarie, noi opponiamo le esigenze superiori di vita, di libertà e di progresso della società umana […] Noi abbiamo piena coscienza che la nostra causa è assolutamente giusta. Nessun sacrificio sarà risparmiato per far trionfare questa causa elevata e appassionante”.

Parole, quelle del segretario generale della CGIL, del tempo presente, moderne ed attuali, oggi più che mai…


Ilaria Romeo



[1] La CGIL esce definitivamente dalla Fsm nel 1978 in coincidenza con il 9° Congresso che la Federazione convoca a Praga a dieci anni dalla fine della ‘Primavera’.

Commenti

Post popolari in questo blog

Perché l’umanità ha sempre avuto paura delle donne che volano, siano esse streghe o siano esse libere

Ve le ricordate “le due Simone”? Simona Pari e Simona Torretta, rapite nel 2004 a Baghdad nella sede della Ong per cui lavoravano e rientrate a Fiumicino dopo cinque mesi e mezzo di prigionia. “Oche gulive” le definì un giornale (volutamente con l’articolo indeterminativo e la g minuscola!) commentando il desiderio delle due ragazze di ritornare alla loro vita normale precedente il rapimento. E Greta Ramelli e Vanessa Marzullo, le due ragazze italiane rapite in Siria più o meno dieci anni dopo, ve le ricordate? Ve le ricordate ancora Carola Rackete, Greta Thunberg, Laura Boldrini, da ultima Giovanna Botteri? Cosa hanno in comune queste donne? Probabilmente tante cose, probabilmente nulla, ma una è talmente evidente da non poter non essere notata: sono state tutte, senza pietà e senza rispetto, lapidate sul web. Perché verrebbe da chiedersi? E la risposta che sono riuscita a darmi è solamente una: perché sono donne indipendenti, nel senso più vero ed intimo della parola. An

Il giuramento di Mauthausen

Si aprono le porte di uno dei campi peggiori e più insanguinati: quello di Mauthausen. Stiamo per ritornare nei nostri paesi liberati dal fascismo, sparsi in tutte le direzioni. I detenuti liberi, ancora ieri minacciati di morte dalle mani dei boia della bestia nazista, ringraziano dal più profondo del loro cuore per l’avvenuta liberazione le vittoriose nazioni alleate, e saluta no tutti i popoli con il grido della libertà riconquistata. La pluriennale permanenza nel campo ha rafforzato in noi la consapevolezza del valore della fratellanza tra i popoli. Fedeli a questi ideali giuriamo di continuare a combattere, solidali e uniti, contro l’imperialismo e contro l’istigazione tra i popoli. Così come con gli sforzi comuni di tutti i popoli il mondo ha saputo liberarsi dalla minaccia della prepotenza hitleriana, dobbiamo considerare la libertà conseguita con la lotta come un bene comune di tutti i popoli. La pace e la libertà sono garanti della felicità dei popoli, e la ricostruzion

Nel suo volto la storia dei cafoni

Pepite d’Archivio: ancora Gianni Rodari su Giuseppe Di Vittorio in un NUOVO, bellissimo testo da leggere tutto d’un fiato. Il brano, recuperato da Ilaria Romeo (responsabile dell’Archivio storico CGIL nazionale che lo conserva)  è tratto da «Paese Sera» del 3 novembre 1977 “Il 3 novembre del 1957 moriva a Lecco, dove si era recato per inaugurare la sede della Camera del lavoro, Giuseppe Di Vittorio. Ricordo la commozione di quelle ore, mentre la salma veniva trasportata a Roma per i funerali. Ricordo quei funerali. Roma ne ha conosciuti di più grandiosi. Quello di Togliatti, anni dopo, ebbe le proporzioni di una gigantesca manifestazione di forza. Ma non si è mai vista tanta gente piangere come ai funerali di Di Vittorio. Anche molti carabinieri del servizio d’ordine avevano le lacrime agli occhi. La cosa non stupiva. Di Vittorio non era stato solo il capo della Cgil e per lunghi anni un dirigente tra i più popolari del Pci: era diventato un uomo di tutti, stava nel cuore de