L’inviato de l’Unità, Giuseppe Boffa, racconta sul quotidiano le sue ultime ore:
"Yalta, 21 agosto - Erano le 13.20 al campo di Artek, quando il cuore di Palmiro Togliatti ha cessato di battere. Dopo una mattinata di sole, il cielo si era coperto di nubi. Un momento di tensione disperata gravava sulla palazzina dove Togliatti era stato ricoverato in questi giorni. Il silenzio era rotto solo dalle voci soffocate dei medici, dai singhiozzi dei familiari, dal rapido spostamento di qualche infermiere. Dopo otto giorni di accanita resistenza contro la morte, ancora non ci si rassegnava alla tragedia.
Nessuno parlava più. Ma i dottori non avevano ancora alzato le braccia. Tante volte, in questa terribile settimana, si era stati sul punto di pensare che non ci fosse più nulla da fare. Eppure, con sforzi disperati si era riusciti a evitare il peggio. Tutte le disposizioni erano state prese in precedenza per non abbandonare la lotta, neppure nel caso che fosse di colpo subentrata la morte clinica. Ed ora che ci si trovava proprio in questa circostanza, si continuava a tentare l’impossibile. I bravissimi medici della squadra di rianimazione ricorrevano a tutti i mezzi. Il defibrillatore, la macchina dei massaggi cardiaci, veniva messa in funzione. Per quattro volte si operavano iniezioni nell’interno del cuore. Col respiro artificiale, si cercava di mantenere in funzione i polmoni. Purtroppo, questa volta, nessuno sforzo poteva più essere coronato da successo.
Circa due ore erano passate dal momento della morte, quando il professor Markov, che aveva partecipato personalmente a questi estremi tentativi, usciva dalla stanzetta dove Togliatti giaceva ormai esanime, sulla piccola terrazza dove erano riuniti i familiari e i compagni che avevano assistito agli ultimi istanti di vita di Togliatti. Il medico sovietico, esausto e affranto, allargava le braccia e annunciava, con voce straziata, che più nulla poteva ormai essere tentato. La dolorosa realtà era di fronte a tutti: Togliatti era morto.
Temuta da otto giorni e allontanata di ora in ora, a prezzo di sforzi infiniti, la tragedia è giunta brusca, fulminea, quasi. La mattina si era aperta con qualche filo di speranza.
Dopo l’operazione di ieri, che il chirurgo stesso
aveva definito «un passo disperato in una situazione disperata», Togliatti aveva passato una notte tranquilla: il sollievo che nelle sue condizioni aveva portato l’intervento chirurgico si era manifestato con apparizioni più marcate della coscienza: Togliatti aveva dato segni di riconoscere le persone che lo circondavano e aveva emesso dei gemiti.
Ma, all’una del pomeriggio, la situazione precipitava. I medici erano d’un tratto in allarme. La respirazione si era fatta molto affannosa, poi del tutto irregolare. Veniva immediatamente ritentata la intubazione che aveva già salvato Togliatti, tre giorni fa, dall’insorgere delle complicazioni polmonari. Ma questa volta i risultati non erano più gli stessi. Anche il cuore, ormai, si muoveva all’impazzata: saliva a ritmi altissimi, ma perdeva il suo battito regolare. Si cominciava già allora la respirazione artificiale, ma neanche questa riusciva a rianimare il cuore che si arrestava definitivamente poco dopo.
Più tardi i medici hanno stabilito che la causa immediata di questa crisi fatale è stata un’altra emorragia cerebrale, che ha colpito e paralizzato i centri vitali del cervello. Era, questa, un’eventualità che si era temuta fin dal primo giorno e, ovviamente, si erano prese tutte le misure per scongiurarla. Purtroppo, neanche esse sono servite. L’organismo di Togliatti era tra la vita e la morte da oltre una settimana; più di una volta si era giunti sull’orlo della catastrofe. Il ricorso a tutte le possibili risorse della medicina moderna aveva allontanato a più riprese la tragedia. Il malato, per riconoscimento unanime di tutti i medici, aveva dato prova di una energia vitale eccezionale che, unita alle cure, aveva consentito di tenere distante la morte fino a oggi. L’organismo era ormai però duramente provato. Da più di una settimana, Togliatti era privo della parola, paralizzato negli arti destri, al limite fra il coma e un profondissimo sopore. Il nuovo colpo ha tagliato ogni possibilità di salvezza.
Al terribile annuncio, tutto il campo di Artek si è impietrito nel dolore. Il silenzio è tornato assoluto. Tutti erano sconvolti. Accanto a Togliatti erano rimasti fino agli ultimi istanti la sua compagna, Nilde Jotti, e la figlia adottiva Marisa. In tutti questi giorni entrambe avevano seguito con coraggio e decisione la difficile battaglia contro la morte. Ne erano state loro stesse partecipi. Nel loro dolore esse avevano vicini i compagni della direzione del Partito che con loro avevano vissuto l’angoscioso alternarsi di allarme e di speranze. Longo, Natta, Colombi, Lama erano presenti al momento della tragedia.
Ma il dolore dei compagni italiani non era solo. Tutti i sovietici presenti, tutti coloro che si erano prodigati senza risparmio in questi giorni, erano profondamente colpiti. Ho visto uno dei medici che è stato quasi sempre al fianco di Togliatti, lo stesso che dirigeva la squadra di rianimazione e che era sempre intervenuto nei momenti più critici. Ci aveva impressionato per la sua forza e la sua risolutezza. Adesso aveva il volto disfatto e piangeva. Come lui erano tutti: dottori, infermieri, interpreti, personale di servizio. La morte di Togliatti era una perdita per ognuno di loro".
Giuseppe Boffa, l'Unità 22 agosto 1964
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