“Credo che la caratteristica dominante della sua personalità fosse una concezione morale molto alta della vita, ivi compresa quella politica. Aveva spiccato il senso del dovere che riguarda anche il militante di partito, l’uomo pubblico. Sentiva che la funzione di un uomo pubblico carico di tante responsabilità politiche deve accoppiarsi al senso morale della vita privata e pubblica, che purtroppo oggi non è molto frequente. Tutto questo spiega il suo impegno nel tenere alta nel partito e in Italia la cosiddetta questione morale. Era, poi, un uomo che credeva molto nelle sue idee, si batteva con durezza, era in certi momenti testardo, cocciuto. Però non era uno che in nome della propria verità rifiutava a priori il confronto e lo scontro. Era un vero democratico. […] Non era burocratico. Non vietava la discussione, non la rifiutava, né la impediva. Non ho mai sentito sollevare questioni in termini disciplinari da Berlinguer. Magari condanne politiche, anche dure, ma sempre sul terreno di un rapporto politico che non privilegiava il momento della gerarchia su quello degli argomenti. […] Berlinguer era un uomo che sosteneva con forza l’idea dell’etica nella politica. Ci credeva davvero. Ci sono quelli che non vogliono proprio sentire parlare di etica, anzi stabiliscono due categorie diverse: uno è il campo della morale, l’altro il campo della politica. Quindi politica come carriera, come successo, come potere, forse anche come corruzione. Poi la morale. Bene: questa scissione lui proprio non l’accettava, era il rovescio esatto della concezione che aveva dell’integrità. […]
Intervista a Luciano Lama, in «Rassegna Sindacale», n. 24, 15 giugno 1984
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