Diciotto anni più tardi, il 2 novembre
1955, Firenze viene stata tappezzata durante la notte da provocatori manifesti
attraverso i quali si accusa Di Vittorio di essere stato il mandante
dell’assassinio.
Della vasta riprovazione suscitata dal
volgare attacco al segretario confederale si fa interprete Gaetano Salvemini
con una lettera sul «Mondo»:
«Quel giornale murale - scrive Salvemini, fra l’altro professore di Nello a
Firenze - è stato affisso dopo aver ottenuto il visto del signor questore di
Firenze. Io presento ora al signor questore la seguente rispettosa domanda: se
dei comunisti gli chiedessero il visto per un giornale murale in cui fosse
affermato che Cesare Battisti fu impiccato da un boia che si chiamava Alcide De
Gasperi… il sullodato signor questore darebbe l’autorizzazione? Ebbene, il
comunista Di Vittorio non ha diritto di essere rispettato nel suo onore non
meno di De Gasperi buonanima…?».
L’indignazione pressoché generale per l’ennesimo
nuovo esempio di malcostume politico costringe il ministro degli interni ad
intervenire facendo sequestrare il manifesto.
Di Vittorio ringrazia Salvemini per il
suo pungente intervento e ne segue tra i due uomini un affettuoso scambio di
lettere.
Così il vecchio storico risponde ad una
delle missive speditegli Peppino:
«Carissimo Di Vittorio, sono assai contento di apprendere dalla tua lettera
che tu attendevi la mia sfuriata. Questo vuol dire che mi ritieni ancora vivo,
sebbene io mi senta ormai più che quasi morto. Per scrivere bisogna che io sia
preso da un eccesso epilettico, e questo ormai succede più raramente che
‘quando era paggio del Duca di Norfolk’. Ma quella bricconata fiorentina mi
avrebbe dato un attacco epilettico coi fiocchi anche se fossi stato morto e
sotterrato. Tu dovevi disprezzare quelle sudicerie. Eravamo noi che dovevamo
farci vivi. Ma siamo stati pochi a farci vivi! Ormai in Italia nessuno più si
sdegna di niente. Tutto passa liscio come una lettera alla posta. Questo è il
fenomeno che più mi sgomenta oggi. Sì, il governo, quando vuole, può arginare
il malcostume. Ma chi si muove per svegliarlo quando dorma? Voi vi muovete, ma
vi muovete sempre, e nessuno bada a voi. Siamo noi che ci dobbiamo muovere, al
momento opportuno. Ma noi ci guardiamo l’ombelico. Di quante cose mi piacerebbe
parlare con te a cuore aperto! Ma i miei 82 anni mi incatenano qui: ad
allontanarmene farei dei guai. Mille buoni saluti, e ti prego, non darmi del
«Lei». Non ho ancora fatto nessuna cattiva azione (a parte la mia
“ideologia”)».
Anita Di Vittorio, La
mia vita con Di Vittorio, Vallecchi editore, Firenze 1965, pp. 252-253.
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