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Per la democrazia, contro il fascismo


di Ilaria Romeo
Responsabile Archivio storico CGIL nazionale



Il 28 maggio 1974 a Brescia, durante una manifestazione unitaria del sindacato, scoppia una bomba in Piazza della Loggia.

È una strage fascista; i morti sono otto, di cui cinque attivisti della CGIL: Giulietta Banzi Bazoli di anni 34, Livia Bottardi Milani di anni 32, Clementina Calzari Trebeschi di anni 31, Euplo Natali di anni 69, Luigi Pinto di anni 25, Bartolomeo Talenti di anni 56, Alberto Trebeschi di anni 37, Vittorio Zambarda di anni 60.

Poco più di due settimane più tardi, il 15 giugno (la mattina del 16 morirà l'ottava vittima della strage, Vittorio Zambarda), Rinaldo Scheda lancia dalle colonne di Rassegna Sindacale un duro atto d'accusa nei confronti delle connivenze tra neofascismo e settori deviati dello Stato:

"Le dimensioni raggiunte dalla protesta antifascista, in tutto il Paese, dopo la strage di Brescia (ndr: a Milano oltre 200 mila persone confluiscono a piazza del Duomo, dove a nome della Federazione unitaria parla Agostino Marianetti, a Napoli, alla presenza di circa 100 mila manifestanti, a parlare è Franco Marini, a Bologna in piazza Maggiore parla Bruno Trentin, a Torino Giorgio Benvenuto, a Roma, in Piazza San Giovanni, intervengono Luciano Lama e Luigi Macario), hanno fatto registrare un isolamento del fascismo forse mai raggiunto in Italia negli ultimi trent'anni.
In una situazione economica e sociale molto difficile, nella quale i fascisti avevano innestato una nuova, calcolata azione provocatoria con l'intento di aggravare lo stato di confusione e trarre così il massimo vantaggio per la realizzazione dei loro disegni eversivi, gli effetti prodotti dal loro gesto criminale sono stati l'esatto contrario di quel che speravano e hanno suscitato un'aggregazione dell'antifascismo di proporzioni eccezionali e di profondo significato politico. Si sono create così le condizioni per portare finalmente in fondo il necessario, urgente e radicale risanamento della vita democratica italiana. Ciò si può e si deve fare attraverso una efficace azione repressiva contro i rigurgiti del fascismo organizzato e contro tutte le complicità, tutte le protezioni di cui godono. Solo se questa azione sarà portata avanti senza incertezze, e con la durezza che ci vuole, verranno sgominate ovunque si annidano, le basi dell'eversione antidemocratica, e colpiti i loro protettori e ispiratori. Questo è stato chiesto a gran voce e in modo unanime nelle migliaia di manifestazioni alle quali hanno partecipato milioni di lavoratori e di antifascisti e tanta gente semplice, indignata e preoccupata per ciò che sta accadendo. Saprà capire lo Stato, sapranno capire le sue strutture e le forze di governo la volontà, l'ammonimento, le indicazioni in cui si concentra e si esprime il senso politico delle manifestazioni unitarie? Questo interrogativo incombe sulle prospettive della vita politica italiana, perché dalla risposta che gli si darà deriva il ruolo che si vuole assegnare alla partecipazione, delle masse nella vita politica del Paese. Cioè la loro volontà, così come si è espressa con tanto slancio nelle ultime settimane, conta veramente, pesa realmente sulle forze che dirigono il Paese o viene solo blandita o formalmente esaltata per poi fingere che non esiste e lasciare andare le cose del Paese come prima? Il movimento sindacale, protagonista del grande sciopero generale antifascista del 29 maggio, ha chiesto una vera e propria svolta da parte del governo e dell'apparato statale nei confronti dell'eversione fascista. Mille e più prove dimostrano che se l'azione contro il fascismo non è guidata con grande determinazione le falle, le sfasature e le obiettive compiacenze di certi settori dell'apparato statale sono destinate a perpetuarsi e ad aggravarsi. E stato sufficiente, nei giorni successivi alla strage di Brescia, di fornire una indicazione più chiara alle forze dell'ordine e ad altri settori dell'apparato statale, per far venire alla luce episodi e vicende che danno la dimostrazione di ciò che si stava tramando. E per ora, come si dice, volano soltanto gli stracci. I nomi finora entrati nella rete delle diverse indagini in corso sono quelli di squallidi esecutori delle follie criminali di questo o quel gruppo di fascisti. Bisogna andare invece alla radice e colpire i protettori, i finanziatori. Si debbono portare alla luce le complicità con i fascisti che si annidano nell'apparato statale. Risulta con chiarezza che responsabili di settori delicati dell'apparato statale non hanno operato tempestivamente per prevenire azioni criminali, e altri che potevano colpire i protagonisti di questi delitti non l'hanno fatto. Sappiamo bene che l'alibi alimentato per troppo tempo da forze politiche di governo attraverso la teoria degli opposti estremismi ha consentito agli organi dirigenti della polizia e della magistratura una condotta praticamente diversiva rispetto agli obiettivi verso cui occorreva dirigere l'azione repressiva in difesa del regime democratico. Il movimento sindacale, i lavoratori dicono che lo stato democratico ha l'autorità e la forza, purché lo voglia, di spazzare una volta per tutte la provocazione fascista. Chiedono misure conseguenti, non solo contro il teppismo criminale, ma contro chi organizza, paga e protegge politicamente i teppisti. Occorre andare fino in fondo per chiarire il ruolo svolto dagli esponenti del MSI e di certi settori del mondo padronale nella scelta di scatenare e sfruttare ai propri fini la violenza. Occorre un taglio netto con uomini dei corpi dello Stato - separati e non separati - che nei fatti hanno manifestato incertezze, parzialità o simpatia verso persone, gruppi o attività di tipo fascista. I lavoratori non si contentano più di gridare il loro basta nei confronti della violenza fascista. Lo stato democratico, emanazione di ciò che la Resistenza ha voluto che fosse la società italiana, deve essere guidato costantemente da una linea di condotta decisamente antifascista: nei fatti e non solo nelle dichiarazioni di principio. Sappiamo bene che l'antifascismo oggi non si esaurisce nella vigilanza democratica e nella lotta contro le provocazioni dei killer del teppismo nero. E necessario operare per una società più giusta, cioè liquidare gli squilibri sociali e assicurare a tutti i lavoratori l'occupazione, garantire la capacità di acquisto delle loro retribuzioni, e fornire a loro e ai cittadini servizi sociali degni di una società moderna. Esiste in sostanza un intreccio profondo, e di ciò sono sempre lucidamente consapevoli le masse lavoratrici, tra una lotta conseguente contro le trame fasciste e l'azione per rinnovare le strutture sociali e gli indirizzi economici del Paese. Non c'è un prima e un dopo. Ma deve essere chiaro che il movimento sindacale, nel momento in cui agisce a livello di società, non incide solo sulle strutture e sugli orientamenti economici e sociali, ma attacca a fondo tutto ciò che frena il cammino della democrazia, e in primo luogo lotta a fondo contro il fascismo".




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