di Ilaria Romeo
responsabile Archivio storico CGIL nazionale
Il 3 giugno 1944, poche ore prima della liberazione della capitale da parte degli Alleati, il lavoro di dialogo unitario avviato già negli anni ‘30 tra i principali esponenti del sindacalismo italiano culmina nella firma del Patto di Roma.
La CGIL unitaria nasce dal compromesso tra le tre principali forze politiche italiane ed il Patto di Roma è siglato da Giuseppe Di Vittorio per i comunisti, Achille Grandi per i democristiani, Emilio Canevari per i socialisti.
Nel 2014, in occasione del 70° anniversario della costituzione del sindacato unitario, Marco Zeppieri ha curato per la Fondazione Bruno Buozzi la pubblicazione di un quaderno che racconta dietro le quinte la rete che venne tessuta da Bruno Buozzi, Achille Grandi e Giuseppe Di Vittorio per fondare la CGIL.
Si tratta di documenti e di episodi in parte noti, in parti dimenticati, in parte inediti, raccontati attraverso gli appunti di Oreste Lizzadri, i rapporti e le relazioni che Giuseppe Di Vittorio inviava alla Segreteria del PCI, gli articoli scritti da Bruno Buozzi sull’«Avanti!» clandestino a commento dell’andamento delle trattative per costituire la CGIL. Nel volume sono riportate le testimonianze su Bruno Buozzi di Giuseppe Di Vittorio, Pietro Nenni e Piero Boni, la bozza elaborata da Buozzi per ricostruire il sindacato, il testo dell’accordo siglato da Di Vittorio, Grandi e Canevari e le integrazioni della Democrazia cristiana. Completano il quaderno le biografie essenziali dei protagonisti del Patto di Roma.
Relaziona nel febbraio 1944 Di Vittorio alla Segreteria del Partito su di una prima conversazione con Bruno Buozzi: “Questa ha vertito su due punti essenziali. Il primo sollevato da Br., concerne la obbligatorietà o meno del sindacato e la questione del suo riconoscimento giuridico da parte dello Stato; col che si trova posta implicitamente la questione della dipendenza del sindacato dallo Stato stesso. Bruno Buozzi ha ribadito il suo concetto, su cui aveva già tanto insistito in conversazioni col nostro compagno G (Roveda, ndr). Egli ha sostenuto che il sindacato deve esigere il riconoscimento giuridico, deve essere obbligatorio per tutti i lavoratori interessati, con quotizzazioni ugualmente obbligatorie, da trattenere sui salari e stipendi. I suoi argomenti sono questi: a) il suo sistema è il solo che darebbe valore legale ai contratti di lavoro e ne imporrebbe il rispetto; b) solo il detto suo sistema permetterebbe alla nuova confederazione di penetrare in tutte le piccole località e villaggi in cui prima del fascismo non vi era nulla di sindacale e dove il sindacalismo fascista poté penetrare appunto in grazia della obbligatorietà; c) il suo sistema darebbe maggiore forza ed autorità al sindacato; d) l’obbligatorietà delle quote sarebbe legittimata dal fatto che non sarebbe giusto permettere agli operai più arretrati ed egoisti di sottrarsi al pagamento del proprio contributo alle spese del lavoro sindacale, di cui essi godrebbero ugualmente i benefici. Io ho ribadito la nostra posizione nettamente contraria al sistema proposto da Br., non senza far rilevare che tale suo sistema, dal punto di vista strutturale, non differisce gran che da quello fascista e che questa considerazione dovrebbe essere sufficiente per indurlo a desistere dalla sua insistenza. Ho ribattuto tutti i suoi argomenti, sulla base della ben nota nostra posizione, che ritengo superfluo trascrivere qui. Al suo sistema ho contrapposto il nostro. Sindacato libero, su basi democratiche, indipendente dallo Stato e da ogni influenza estranea alla classe operaia; nessuna obbligatorietà d’iscrizione, né di quotizzazione. Il sindacato deve trarre la sua forza, la sua autorità, ed i mezzi per la sua attività funzionale, dall’entusiasmo ch’esso deve saper suscitare nelle masse e dall’interesse che le masse stesse avranno di rafforzare e sviluppare il sindacato, nella misura in cui esso saprà essere effettivamente il difensore dei loro interessi quotidiani e di classe. Br. mi è parso alquanto scosso dai miei argomenti, quantunque poco convinto. Credo, però, che sia persuaso di non avere argomenti abbastanza forti da contrapporre ai nostri, e perciò è uscito in questa frase: «mi dispiace che insistete tanto su questi nostri concetti ‘liberali’, ma capisco che non c’è niente da fare e che bisognerà accedere al vostro punto di vista». Il secondo punto della conversazione con Br., sollevato da me, è stato il seguente: riconosciuta la necessità di creare (subito dopo la liberazione di Roma ed in connessione con la soluzione di altri problemi politici) una direzione centrale provvisoria del movimento sindacale libero, che assuma l’eredità dei beni delle confederazioni sindacali fasciste dei lavoratori ed inizi immediatamente il lavoro per la ricostruzione del movimento sindacale libero, su basi unitarie, onde contribuire attivamente alla mobilitazione delle masse, per la difesa dei loro interessi immediati, in connessione col compito fondamentale che si pone a tutto il popolo italiano - la creazione d’un governo democratico capace di mobilitare tutte le forze e tutte le risorse nazionali per la guerra di liberazione - è pure necessario mettersi d’accordo sin d’ora sulla composizione di questo organismo centrale provvisorio. Ho tenuto a spiegare che la nostra insistenza sull’aggettivo “provvisorio” significa la nostra volontà che sia convocato al più presto possibile un congresso, per la regolare elezione su basi democratiche della direzione effettiva, non potendo essere che provvisoria una direzione sorta dall’alto. (Su questo, d’accordo.) Premesso quanto sopra, ho esposto il nostro concetto che la nuova confederazione deve affermarsi sin dall’inizio come organizzazione assolutamente unitaria, con la libera partecipazione di tutte le correnti che abbiano una reale influenza su strati o parte della classe operaia o degli impiegati e tecnici salariati. Ho subito soggiunto, però, che per questo non è affatto necessario che, anche nella predetta direzione provvisoria, siano rappresentati tutti i partiti appartenenti al Comitato di liberazione, ma soltanto quelli che hanno un seguito effettivo nelle masse sindacali. Ho ancora specificato che, a nostro giudizio, le tre correnti che possono vantare un largo seguito di massa (e che anche tradizionalmente avevano influenza su sindacati liberi prefascisti) sono: la comunista, la socialista, la cattolica. Quanto al Partito d’azione esso ha influenza su strati delle masse impiegatizie e perciò deve avere una rappresentanza nella proposta direzione provvisoria, ma non alla stessa stregua delle tre grandi correnti indicate. Quindi, ho proposto una direzione provvisoria distinta in due organismi: un Segretariato, composto di tre persone, rappresentanti delle tre correnti anzidette, nel quale la maggioranza sia assicurata alle tre correnti che formeranno la spina dorsale della confederazione e nel quale saranno rappresentati anche il Partito d’azione ed eventualmente altre correnti (anarco - sindacalisti, repubblicani, ecc.) con una rappresentanza dei senza partito”.
Così, nella stessa relazione, Di Vittorio racconta la “Prima conversazione col cattolico” (Grandi, ndr): “ La conversazione con questi è stata, sotto certi aspetti, più interessante, perché sono state toccate le questioni fondamentali del sindacato, quelle che ne determinano il carattere e sulle quali noi abbiamo una posizione ben definita, che possiamo qualificare di principio. L’accordo coi cattolici su tali questioni sarà molto laborioso, giacché essi vorrebbero chiaramente svuotare il sindacato di ogni contenuto di classe e frenare e limitare al massimo ogni iniziativa delle masse; cioè, tutto il contrario di quel che vogliamo noi. È vero che l’amico cattolico s’è limitato a porre delle domande, affermando che esse non rispecchiano opinioni già definite, ma tendono a conoscere la nostra posizione sulle questioni poste perché ne possa discutere coi suoi amici. Ma il modo con cui sono state poste le domande, e la conoscenza che noi abbiamo delle concezioni sindacali dei cattolici, indicano chiaramente che, sotto forma di questioni, l’amico cattolico esponeva le sue posizioni per confrontarle con le nostre. Conscio dell’enorme interesse che ha per l’unità sindacale e per tutta la nostra politica l’accordo coi cattolici, e l’interesse che abbiamo ad evitare una loro coalizione coi socialisti, ho risposto con chiarezza alle sue questioni, evitando accuratamente di presentare le nostre posizioni con punte acute e cercando d’illustrarle nel modo più persuasivo che mi è stato possibile. Sulla necessità di costituire subito una direzione centrale provvisoria e sulla sua composizione, egli è pienamente d’accordo con noi, anche sulla necessità di rinunciare a nominare nella direzione provvisoria un segretario generale”.
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