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Visualizzazione dei post da 2015

Una legge per portare la Costituzione nei luoghi di lavoro - di Giuseppe Di Vittorio

Abbiamo il dovere di difendere le libertà democratiche e i diritti sindacali che sono legati alla questione del pane e del lavoro; abbiamo il dovere di difendere i diritti democratici dei cittadini e dei lavoratori italiani, anche all’interno delle fabbriche. In realtà oggi i lavoratori cessano di essere cittadini della Repubblica italiana quando entrano nella fabbrica. Anche certi studiosi, prima ancora che noi annunciassimo la nostra iniziativa per la presentazione di uno “Statuto per la difesa dei diritti, della libertà e della dignità del lavoratore nell’azienda”, hanno riconosciuto questa esigenza, che però gli industriali non vogliono riconoscere. Quando al congresso dei chimici io annunciai l’idea di proporre lo “Statuto”, qualche giornale degli industriali scrisse: “Ma Di Vittorio dimentica che le aziende appartengono ai padroni e che coloro che vi entrano debbono ubbidire ai padroni”. È una risposta, questa, che rivela proprio una mentalità feudale, che rivela come i lavorato

Riccardo Terzi su Pasolini

“Pasolini rappresenta, a mio giudizio, lo sguardo critico che vede per tempo, più di qualsiasi altro, tutto il groviglio delle contraddizioni del “movimento” del ’68, la sua interna fragilità culturale e il suo possibile destino di svuotamento e di fallimento. Ed è una critica condotta dall’interno, in un complicato rapporto tra condivisione e rifiuto, tra attrazione e repulsione, il che lo conduce in una difficile condizione di incomprensione, e spesso di isolamento. La sua tesi di fondo, se è possibile così sintetizzarla, è che tutto il lavoro di negazione, di contestazione, di distruzione delle vecchie forme, finisce per essere, in modo del tutto inconsapevole, funzionale alla modernizzazione capitalistica, che ha bisogno, per potersi liberamente dispiegare, di creare una società di mercato, senza vincoli, senza regole, individualizzata e deresponsabilizzata, dove ci sia, nello stesso tempo, il massimo di libertà apparente e il massimo di dipendenza dai modelli consumistici indotti

L’ultimo discorso di Giuseppe Di Vittorio

Lo so, cari compagni, che la vita del militante sindacale di base è una vita di sacrifici. Conosco le amarezze, le delusioni, il tempo talvolta che richiede l’attività sindacale, con risultati non del tutto soddisfacenti. Conosco bene tutto questo, perché anch’io sono stato attivista sindacale: voi sapete bene che io non provengo dall’alto, provengo dal basso, ho cominciato a fare il socio del mio sindacato di categoria, poi il membro del Consiglio del sindacato, poi il Segretario del sindacato, e così via: quindi, tutto quello che voi fate, che voi soffrite, di cui qualche volta anche avete soddisfazione, io l’ho fatto. Gli attivisti del nostro sindacato, però, possono avere la profonda soddisfazione di servire una causa veramente alta. [...] Invito a discutere su questo: è giusto che in Italia, mentre i grandi monopoli continuano a moltiplicare i loro profitti e le loro ricchezze, ai lavoratori non rimangano che le briciole? E’ giusto che il salario dei lavoratori sia al di sot

Bruno Trentin sulla morte di Giuseppe Di Vittorio

Mia Franchina, dopo un lungo silenzio posso scriverti e tramite te anche a Mario.  Quest’ultimo periodo è stato convulso e sconvolgente, per me. Prima, il Congresso di Lipsia, con tutte le discussioni e le battaglie che ha comportato. Poi una serie di riunioni e di conferenze in Italia – compresa la commissione elettorale del partito di cui faccio parte e dove si sono riaperte vecchie ferite dell’VIII Congresso. […] La morte di Di Vittorio ha rappresentato naturalmente il maggiore elemento di sconvolgimento. Ero a Napoli, di ritorno da Palermo, quando si è diffusa la notizia. E puoi immaginare quanto mi abbia colpito. Tuttora non ho ancora completamente eliminato la sensazione d’angoscia e di dolore che mi ha provocato. Dio sa quanto conoscessi i suoi limiti e le sue debolezze e quante volte mi sia ribellato a certe ristrette manifestazioni della sua mentalità di contadino meridionale. Ma sento sempre di più quello che quest’uomo ha rappresentato per me, nella mia formazione

I funerali di Giuseppe Di Vittorio nel commento di Pier Paolo Pasolini

Salgo da Porta Pia, piano e un poco svogliato. L’atmosfera è com’è ai margini degli avvenimenti pubblici: tempestosa, senza colore e quasi senza suono. Cominciano a fermarsi i primi autobus, le automobili, isteriche, qua e là, protestano con angosciosi e brevi suoni di clacson. Guardo la gente, che va verso il Corso d’Italia, come me, o che resta lì, a Porta Pia: dei giovani che non distinguo bene si sono arrampicati sul monumento al bersagliere, lasciando sotto il piedistallo una frotta di motori. Ci sono soprattutto uomini anziani, operai e impiegati, e molte donne, umili e non giovani. C’è un vento magro di autunno, con una luce settentrionale, bianca e confusa. E un grande silenzio, che i rumori, attutiti e come laceri del traffico, rendono più strano. Ormai di qua e di là del Corso d’Italia le ali della folla sono fitte: nel centro della strada passano reparti di polizia: se ne vanno come inesistenti. Non c’è inimicizia tra loro e la folla. Tutto pare come sospeso, riman

Leggere Di Vittorio

Buon anno a tutti voi, fratelli lavoratori d’Italia! Il Primo maggio di Giuseppe Di Vittorio Di Vittorio e la cultura Lo Statuto dei diritti dei cittadini lavoratori Bruno Buozzi nei ricordi di Giuseppe Di Vittorio Lettere scarlatte. Un manifesto. I fratelli Rosselli, Di Vittorio, Salvemini 14 luglio 1948: attentato a Togliatti. Di Vittorio: "La CGIL non si tocca!" A fianco degli ebrei italiani

What a wonderful world!

Il 29 gennaio 1952 Ernesto Alberti, colono dell’Appennino bolognese, scrive a Di Vittorio per sottoporgli il progetto di un apparecchio agricolo da lui ideato . Dopo aver invitato la Confederterra a valutare anche tecnicamente la macchina, Di Vittorio risponde all’Alberti sottolineando i pregi dell’apparecchio e consigliandogli di rivolgersi al Consiglio di gestione di qualche fabbrica emiliana per il suo possibile sfruttamento e la sua realizzazione. Il 13 maggio 1952 Galdino Recchia, maestro di musica di Montemesola (Taranto) invia a Di Vittorio lo spartito di una marcia trionfale a lui dedicata , mentre il fascicolo 170 della Serie Atti e corrispondenza 1950 custodisce al proprio interno lo spartito ed il testo presumibilmente inediti della canzone Viene il primo maggio del poeta tarantino Nicola Detimo. Se numerose risultano essere le lettere indirizzate al “papà Di Vittorio” da parte dei bambini, nel 1951 al segretario scrive anche “ un prelato che si rivolge ad uno de

Vittorio Foa

«Nel lavoro della formazione e soprattutto in quella che il dirigente dà agli altri dirigenti, nella continuità del suo lavoro, vi è un elemento molto importante, e non si tratta della disciplina, ma è la lotta contro il conformismo.  Non bisogna accusare l’indisciplina.  Non c’è niente di male ad essere indisciplinati, se nell ’ indisciplina c’è una volontà.  La cosa peggiore è quando la volontà non c’è più, quando si sceglie sempre di dare retta ad altri.  L’insegnamento da dare ai compagni è che pensino con la loro testa.  Possono anche pensare male, ma l’importante è che pensino con la loro testa.  Questa è la vita che io credo di avere visto nella Cgil e credo di aver amato nella Cgil più di ogni altra cosa.  Quando penso a quello che è stata la Cgil dei miei sentimenti, come a un campo privilegiato, ecco, il privilegio maggiore è quello di aver sempre capito che mi diceva: “Pensa con la tua testa!”  E bada, non è una raccomandazione, la mia, piuttosto una rifle

Roma, 16 ottobre 1943 il rastrellamento del Ghetto

Il 16 ottobre 1943, 1024 ebrei vengono deportati dal Ghetto di Roma verso il campo di concentramento di Auschwitz. Alle 5 del mattino le SS invadono le strade del Portico d’Ottavia e rastrellano più di 1000 persone, tra cui oltre 200 bambini. Due giorni dopo diciotto vagoni piombati partiranno dalla stazione Tiburtina. Solo quindici uomini e una donna (Settimia Spizzichino) ritorneranno a casa dalla Polonia. Per non dimenticare: Vittorio Foa - Lettere dalla giovinezza  ( LEGGI ) Giuseppe Di Vittorio a fianco degli ebrei italiani  ( LEGGI )

In aiuto degli ebrei italiani! - di Giuseppe Di Vittorio

Mentre la situazione internazionale si aggrava di ora in ora, sotto le minacce intollerabili degli aggressori fascisti, il delirio razzista è giunto al parossismo in Italia . Tutti i mezzi, potentissimi di pressione morale e materiale di cui si è munito il regime, sono stati messi in azione per creare un'atmosfera di pogrom. Nella disonorante campagna di odio contro gli ebrei – contro gli stessi ebrei italiani, che sono nati in Italia, che hanno compiuto il loro servizio militare in Italia, che sono degli onesti cittadini – non vi è ritegno, non vi sono limiti, né pudore La vigliaccheria garantita dalla protezione senza riserve dello Stato, si ammanta della pelle del leone e si accanisce con estrema ferocia contro i deboli, contro coloro che sono stati spogliati d'ogni diritto e messi al bando come lebbrosi!... Gli ebrei sono divenuti gli "untori" di manzoniana memoria. Nessuno degli omonzoli del regime ha il coraggio civico di dire almeno una parola di m

La CGIL nel novecento - NEWSLETTER SETTEMBRE 2015

Commissioni interne: quando la democrazia rientrò in fabbrica Il 2 settembr e 1943, poche ore prima della firma dell’armistizio con gli alleati anglo-americani, Bruno Buozzi firma con gli industriali un importante accordo interconfederale per il ripristino delle Commissioni interne. L’accordo (il cosiddetto  patto Buozzi-Mazzini ) reintroduce nel campo delle relazioni industriali l’organo di rappresentanza unitaria di tutti i lavoratori, impiegati e operai nelle aziende con almeno 20 dipendenti, attribuendogli anche poteri di contrattazione collettiva a livello aziendale.  Per saperne di più «L’Alba» dell’8 settembre Il primo numero de L’Alba , giornale dei prigionieri di guerra italiani nell’Unione sovietica, compare il 10 febbraio 1943, sotto la direzione di Rita Montagnana. Esce ogni 7-10 giorni e raggiunge in breve una tiratura di 7.000 copie, per un totale complessivo di 144 numeri, l’ultimo dei quali pubblicato il 15 maggio 1946. Dopo i primi quattro numeri