Non è privo di un suo particolare significato il fatto che, dopo la liberazione, al più alto posto di direzione sindacale nel nostro Paese sia stato assunto, e poi sia stato mantenuto fino alla morte, Giuseppe Di Vittorio, il quale riuniva in sé due qualità, quella di provenire direttamente e immediatamente dalla classe contadina e l’altra di essere un meridionale. Lo studioso del processo organizzativo delle classi lavoratrici nel nostro Paese, il quale leghi, com’è naturale, tale fatto alle successive tappe evolutive maturatesi dal 1944 a oggi, non può non cogliere la coerente relazione che corre tra il fatto stesso e le due esigenze spontaneamente sorte dalle esperienze del passato e dagli insegnamenti scaturitine, due esigenze che facevano entrambe capo a una volontà unitaria, che il duro ventennio fascista aveva determinato e temprato, decisamente tesa a non ricadere negli antichi errori, così pesantemente scontati, e ad aprire una via nuova al movimento sindacale. La prima esige