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Tra la rivoluzione e la Juve. La passione dei leader Pci per il calcio - di Ilaria Romeo

Così nel suo diario personale ed inedito conservato presso l’Archivio storico Cgil nazionale Rinaldo Scheda, segretario confederale dal 1957 al 1979 scomparso il 9 febbraio 2009 all’età di 86 anni, descrive la sua conoscenza con Luciano Lama: “L’ho conosciuto nel 1945 quando gli fu affidata la direzione della Camera del lavoro di Forlì. Due anni dopo come vice segretario nazionale della Cgil partecipò ai lavori del Congresso della Camera del lavoro di Bologna […] Fui destinato, alla fine del 1952, a dirigere la Federazione dei lavoratori edili. Non ricordo se si era già trasferito alla Federazione dei lavoratori chimici. La sede della Filcea era al piano superiore dove con Brodolini lavoravamo alla Fillea. Ci vedevamo spesso per scambiarci delle opinioni sulla situazione sindacale e politica che era allora molto difficile. Evitavamo di parlare del campionato di calcio perché lui sosteneva la Juventus mentre io in quel periodo facevo il tifo per il Bologna”
L’interesse di Lama verso il calcio è un fatto noto e non isolato: narra la leggenda che Palmiro Togliatti ogni lunedì mattina chiedesse a Pietro Secchia (secondo alcuni si trattava in realtà di Longo), che cosa avesse fatto la Juve il giorno prima; se il malcapitato non aveva la risposta pronta, Togliatti – raccontano sempre i ben informati – usava rimbrottare: “E tu, pretendi di fare la rivoluzione senza sapere i risultati della Juventus?”. I più arditi arrivano a raccontare che “Cos’ha fatto la Juventus?” sia stata la prima domanda del segretario comunista al risveglio dopo l’attentato del 14 luglio 1948.Curiosamente, molti capi del comunismo italiano tifavano la Juve di Agnelli. Pare che anche Enrico Ber¬linguer, pur avendo nel cuore il Cagliari alle cui partite assisteva quando andava in Sardegna per impegni politici, si tenesse sul solco del tifo bianco¬nero, anche se a domanda diretta: “Sappiamo che lei è un tifoso juventino”, lui, secco rispondeva: “No, io tifo la Torres!”.
Racconta nell’ottobre 2008 Vezio Bagazzini, titolare di un bar frequentato da sempre da dirigenti e compagni di Botteghe Oscure, al «Riformista»: “Berlinguer, il sabato mattina, giocava a Villa Ada. Calciava molto bene di destro, ironia della sorte… Era tifoso della Juventus. Quella di Zoff, Furino, Capello e Cuccureddu. Ma la sua scorta, me lo ricordo bene, era tutta di fede laziale, così era costretto ad andare a vedere, allo stadio, le partite della Lazio”.
Affermava in proposito l’avvocato Agnelli su «La Stampa»: “Ho mandato al giornale una foto di una partita della Juventus del 1948, dove mi trovavo accanto a Togliatti. Lui, come tutti i leader comunisti di una certa generazione e di una certa classe, era juventino. Non ho mai avuto modo di verificare se Berlinguer amasse la Juventus; ma da alcune sue reazioni, che ho avuto occasione di vedere allo stadio, mi pare che anche il suo cuore fosse bianconero” (dalla lettera aperta a Luciano Lama Agnelli risponde a Lama sulla Juve, «La Stampa», 6 marzo 1991, p. 33).
Il 16 dicembre 1988 «l’Unità» pubblica in prima pagina un articolo dalla titolazione evocativa Gramsci tifava per la Juve (l’articolo è ufficialmente inserito nella “Bibliografia gramsciana”). Il pezzo, firmato da Giorgio Fabre riportava alcune lettere in cui il fondatore del Partito comunista chiedeva al destinatario, Piero Sraffa, “notizie della nostra Juventus”. Le lettere ben presto si rivelarono false ma scatenarono comunque numerose reazioni, ad iniziare da Giampiero Boniperti che a nome della società disse il giorno seguente su «La Stampa»: «Ci fa piacere sapere che tra i nostri tifosi ci sono stati personaggi che hanno segnato un’epoca dal punto di vista politico, economico ed intellettuale. Questo dimostra che la Juventus ha davvero qualcosa di particolare, un fascino che con il passare degli anni non ha perso mai vigore».
Una passione, quella per il calcio che, a parte Bruno Trentin, sembra non risparmiare nessuno! A proposito di un insospettabile Giuseppe Di Vittorio racconta la moglie Anita: “Durante il Congresso [I Congresso confederale unitario, Firenze, 1-7 giugno 1947] erano state organizzate manifestazioni culturali e sportive. Fra queste ultime anche delle partite di calcio, una delle quali tra baresi e fiorentini. Di Vittorio doveva consegnare una coppa alla squadra vincente. All’inizio della partita fece gli auguri ad ambedue le squadre ma certo nel suo intimo parteggiava per i baresi. Con quanta passione seguì la partita! Per me fu una vera e propria rivelazione: mi accorsi che Peppino era un «tifoso». Si sbracciava, urlava: «Dai, Bari! Forza!» Ma i baresi furono clamorosamente sconfitti, e se ben ricordo, non fecero nemmeno un goal. Di Vittorio dovette consegnare la coppa alla squadra «stravincente» e lo fece con un sorriso involontariamente amaro. «Che figura mi hanno fatto fare!» mormorò. Ma poi, sportivamente, si felicitò con i giocatori fiorentini” (A. Di Vittorio, La mia vita con Di Vittorio, Vallecchi Editore, Firenze 1965, p. 151)”.
Pubblicato su Strisciarossa il 7 febbraio 2018.

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