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Lavoro e conoscenza - di Ilaria Romeo

Dopo la Liberazione Bruno Trentin si iscrive al Partito d’Azione. Vive in questo periodo tra Milano, Padova, dove si iscrive all’Università nella Facoltà di Giurisprudenza, e Treviso, dove risiede la famiglia. 

Partecipa in modo intenso alla tormentata storia del PdA fino al suo scioglimento nell’ottobre 1947. 

Nel mentre si reca negli Stati Uniti, ad Harvard, grazie all’interessamento di Gaetano Salvemini per approfondire la tesi di laurea. 

Si laurea a Padova il 16 ottobre 1949, nell’Istituto di Filosofia del diritto di Norberto Bobbio con la tesi «La funzione del giudizio di equità nella crisi giuridica contemporanea (con particolare riferimento all’esperienza giuridica americana)». Relatore Enrico Opocher, sostituto di Bobbio da poco andato a Torino. 

La documentazione relativa alla carriera accademica di Trentin è conservata presso l’Archivio generale dell’Università degli studi di Padova. 

La sua domanda di immatricolazione al primo anno della Facoltà di Giurisprudenza  è accolta dal Consiglio della stessa Facoltà il 12 febbraio 1944, anche se la seduta viene verbalizzata quasi due anni più tardi, il 29 gennaio 1946. 

Come risulta dal libretto di iscrizione gli è assegnata la matricola n. 3839. 

I primi tre esami (Storia del diritto romano, Medicina legale e Istituzioni di diritto romano) risultano trascritti dalla Segreteria e non sottoscritti dal professore titolare dell’insegnamento. Sostiene il primo esame (Storia del diritto romano) il 22 febbraio 1946, conseguendo la votazione di 24/30, mentre l’ultimo (Diritto processuale penale) viene registrato l’11 novembre 1949 con 26/30.

Nel corso degli studi, Trentin prepara tre tesine in Diritto civile (“Il contratto con cui viene costituita una servitù a non domino è risolubile e non nullo”), Economia politica (“Del tasso di interesse come strumento di stabilizzazione dei prezzi”) e Diritto amministrativo (“Anche la violazione della prassi volutamente impostasi dalla Pubblica amministrazione costituisce un sintomo dell’eccesso di potere”). 

Così Luciana Rampazzo ricorda il periodo universitario di Bruno: 

“Bruno parlava allora un italiano imperfetto che tante grane gli darà durante gli esami universitari (…) Di ritorno in Italia, Bruno era sotto influenza francese, sia per quanto riguarda la lingua, sia la cultura. Non si sentiva italiano sotto questo punto di vista. Non fosse stato per l’esperienza della guerra partigiana, non so se avrebbe optato per la cittadinanza italiana. L’italiano lo parlava in modo un po’ scorretto, mentre con i suoi fratelli, fino alla fine della sua vita, parlava francese. (…) Bruno si era iscritto alla Facoltà di Giurisprudenza, forse per affetto di suo padre, perché in realtà questa facoltà non l’ha mai amata. Inoltre i professori con cui ha fatto gli esami (fatti salvi Bobbio e Opocher) lo hanno sempre trattato malissimo perché il suo italiano non era sempre corretto e gli davano voti bassi. Bruno era letteralmente terrorizzato quando doveva dare un esame. Io, e se io non potevo sua sorella Franca, lo dovevamo accompagnare fino alla stanza dell’esame. Poi, magari per gli stessi esami io prendevo ottimi voti e lui voti sufficienti L’unica cosa che si è salvata della sua incresciosa esperienza universitaria è stata la sua tesi di laurea. Non so perché ha scelto come argomento la Corte Suprema degli Usa. Secondo me, una tesi molto buona. Più di una volta gli ho suggerito di riprenderla e approfondirla, ma non ne ha mai voluto sapere (…) Devo dire che Bruno mi ha molto aiutato per i miei esami di economia, così come io ho aiutato lui per i suoi esami di latino. Ma, un po’ alla volta, Bruno cercava la sua strada. Ricordo che a Venezia aveva cominciato a prendere lezioni di matematica da una signorina che andava a casa sua. Mi spiegava: “La matematica è indispensabile per studiare l’economia” e mi parlava delle varie scuole economiche esistenti negli Stati Uniti”..

Proprio in Economia e commercio Trentin riceverà il 13 settembre 2002 la laurea honoris causa conferitagli dall’Università Ca' Foscari di Venezia.

“Magnifico Rettore, Signore Preside della Facoltà di Economia e Commercio, signori membri del Consiglio di Facoltà Dott. Beggio e Dott. Malgara, Signore e Signori, cari amici - dirà quel giorno, inusualmente emozionato - Voi potete comprendere la mia emozione, in questo momento, non solo per l’onore che mi fate, forse impropriamente, con questa laurea, ma per la scelta che avete compiuto di tenere questa riunione nell’aula che porta il nome di mio padre. Sono stato sempre restio a parlare di lui pubblicamente, per il rispetto e la riconoscenza che gli debbo. E non cambierò oggi il mio atteggiamento. Voglio soltanto testimoniare che quel poco di valido e di utile che ho saputo produrre nel corso della mia lunga vita, lo debbo interamente al suo insegnamento e al suo esempio; alla sua radicale incapacità di separare l’etica della politica dalla propria morale quotidiana, pagando sempre di persona per i propri convincimenti. Il tema di questo mio intervento riguarda il rapporto fra lavoro e conoscenza. L’ho scelto perché mi sembra che in questo straordinario intreccio che può portare il lavoro a divenire sempre più conoscenza e quindi capacità di scelta e, quindi, creatività e libertà, proprio perché si tratta soltanto di una potenzialità, di un esito possibile ma non certo, delle trasformazioni in atto nelle economie e nella società contemporanea, sta la più grande sfida che si presenta al mondo all’inizio di questo secolo. La sfida che può portare a sconfiggere le vecchie e nuove disuguaglianze, e le varie forme di miseria che dipendono soprattutto dall’esclusione di miliardi di persone da una comunità condivisa”.

Una sfida che stiamo ancora cercando di vincere, con la consapevolezza di servire una causa giusta, perché - ce lo ha insegnato lui - lavorare nella Cgil e per la Cgil non è, non può essere, un mestiere come un altro!

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