Onorevole Macaluso, lei e Pio La Torre siete più o meno coetanei. Vi siete conosciuti nel 1947 a Caltanissetta, al primo Congresso della Cgil dove c’era anche Giuseppe Di Vittorio.
E' esattamente così. Ho conosciuto La Torre in quell’occasione. Era un ragazzo. Lo ricordo perfettamente: era giovanissimo e veniva da Palermo. Era figlio di un bracciante, impegnato nelle lotte contadine e sociali.
Lotte sociali e contadine alle quali avete preso parte anche insieme durante il periodo dell’occupazione delle terre.
Nel 1947 io divenni segretario generale della Cgil Sicilia, La Torre lavorava invece al Partito, a Bisacquino. Qui, durante l’occupazione delle terre, ci fu uno scontro con la polizia. Pio venne arrestato insieme a un gruppo di contadini perché un commissario, testimoniando il falso, sostenne che lui gli aveva un colpo di legno in testa.
In Cgil Pio La Torre l’ha sostituita due volte negli incarichi, prima alla Camera del lavoro, poi al regionale.
Per un periodo, dopo la morte di Fasone, bravissima persona, morto giovanissimo, io feci a Palermo sia il segretario della Camera del lavoro che il segretario regionale. Pio La Torre mi sostituì prima alla guida della Camera del lavoro e poi, nel 1956, quando andai al Pci, alla Segreteria regionale della Cgil. Il nostro è stato sempre un rapporto intenso, una collaborazione affettuosa, un rapporto davvero forte.
Nel 1967 è lei a sostituire Pio La Torre.
Nel ’67, alle regionali, i comunisti subiscono una flessione: il gruppo dirigente viene messo sotto accusa e La Torre è costretto a dimettersi. Fu sfiduciato dal Comitato regionale perché aveva perso solo due punti. Io e Bufalini andammo anche in Sicilia, ma il Comitato fu irremovibile nel volerlo sostituire. A quel punto Longo mi impose di ritornare a Palermo, dove restai per qualche anno. Pio La Torre fece il segretario della Federazione comunista provinciale e poi andò a Roma.
Nel 1969 divenne vice responsabile della commissione agraria del Pci e nel 1972 - anno in cui entrò in parlamento - passò alla commissione meridionale. Nel 1976 prese infine il mio posto di responsabile della commissione agraria.
Fu lui a voler assolutamente tornare in Sicilia perché, a ragione, considerava un’ingiustizia il fatto di averla dovuto abbandonare l’isola.
Chiese così a me e a Bufalini di convincere Berlinguer (del quale era diventato uno dei collaboratori più stretti) a lasciarlo andare.
Così La Torre torna in Sicilia e si dedica, anima e corpo alla lotta alla mafia.
Sì, La Torre ritorna in Sicilia quando sono già cominciati i delitti di mafia. E’ lui a chiedere di mandare nell’isola il generale Dalla Chiesa. E’ lui ad avanzare la proposta del reato di associazione mafiosa e della confisca dei beni. E’ sempre lui a sottolineare e il pericolo dell’infiltrazione della mafia nella costruzione della base missilistica di Comiso, contro le mafie ed in nome della pace.
Io credo che la richiesta di sequestro dei beni mafiosi sia stato il motivo principale per cui la mafia lo abbia ucciso.
La sua richiesta fu una condanna, ed infatti poco dopo fu ucciso.
Arriviamo così a quel tragico giorno dell’aprile 1982.
Io ero direttore de l’Unità. Stavamo preparando il numero del Primo maggio, giorno in cui il giornale diffondeva 1.000.000 di copie. All’improvviso irrompe nella stanza il caporedattore del giornale, Carlo Ricchini, il quale mi dice: “Hanno ucciso Pio La Torre”. Immaginate quale fu la mia reazione e la mia emozione. Così seppi dell’uccisione di Pio La Torre.
Il lunedì di Pasqua Pio era venuta a Roma, a casa mia. Mi aveva portato il formaggio fresco di cui ero goloso.
Io allora abitavo a via Monferrato, pranzammo insieme e scendemmo dopo pranzo a fare una passeggiata sul Lungotevere.
Mentre passeggiavamo lui mi disse: “Dì a Berlinguer che adesso tocca a noi!”.
La mafia aveva già ucciso, ed era chiaro che quel ‘noi’ era riferito a se stesso.
La mia personale convinzione è che fu Ciancimino a suggerire la sua uccisione. E questa è la storia….
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