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Giù le mani dalla 194

ProVita e Famiglia, uno dei maggiori gruppi pro life italiani, ha lanciato online una petizione indirizzata al Ministero della Salute per chiedere la sospensione dell’aborto negli ospedali.

L’emergenza sanitaria per la pandemia del Covid-19, il nuovo Coronavirus - recita il messaggio che sarà inviato al ministro della Salute Speranza e a tutti i presidenti di Regione - ha di fatto stravolto le abitudini di milioni di cittadini e, per evitare la diffusione esponenziale dei contagi e curare i contagiati, sono cambiati o sono stati interrotti molti servizi e attività, anche tra quelle erogate dal Sistema Sanitario Nazionale.
Tra queste ultime molte operazioni chirurgiche, visite ambulatoriali e attività mediche sono state interrotte, poiché non essenziali né di emergenza.
Tra queste attività, però, non sono stati interrotti gli aborti, poiché per molte strutture le interruzioni volontarie di gravidanza vengono considerate come trattamenti indispensabili e di emergenza. Interventi che però, oltre ad uccidere il bambino nel grembo materno, rappresentano un costo elevatissimo per il sistema sanitario nazionale.
Un costo, dunque, che non si taglia neanche per far fronte, dal punto di vista economico, all’emergenza Coronavirus, magari per dirottare tali spese all’incremento di terapie intensive e posti letto, ormai indispensabili, come provano i numeri drammatici di malati e purtroppo decessi dovuti al Covid-19.
La scelta di non interrompere le pratiche di aborto, inoltre, ci sembra una vera e propria ipocrisia, nel momento in cui sono tantissimi gli appelli a fare ognuno la propria parte per ridurre il numero di contagi e quindi di morti, così come moltissime sono le raccolte di fondi proprio per tentare di salvare più vite possibile. Le vite, però, sono - o dovrebbero essere - tutte uguali e tutte, quindi, dovrebbero essere salvate, tanto quelle degli anziani e dei malati di Coronavirus, quanto quelle dei piccoli nel grembo materno. Inoltre, nell’attuale contesto emergenziale dovuto alla epidemia di Covid-19, gli interventi di IVG, salvo i casi di pericolo di vita della donna, ricadono in maniera del tutto evidente al di fuori dei parametri di urgenza e priorità stabiliti dalle linee guida ministeriali per definire le prestazioni non procrastinabili con riferimento al PNGLA 2019-2021
Chiediamo quindi che l’interruzione volontaria di gravidanza non sia considerata né indispensabile né urgente, e che pertanto siano interrotte le operazioni abortive, sia quelle chirurgiche che quelle farmacologiche (RU 486), viste le percentuali di insuccesso dell’aborto farmacologico che ricadrebbero sempre sugli ospedali con grave dispendio di personale e di risorse”.

Scriveva del resto l’11 marzo Corrispondenza romana, autodefinitasi una ‘agenzia cattolica di informazioni nata nel 1980’: “Sconcertante e disumano: secondo quanto scritto dal quotidiano Libero, che, a sua volta, cita il giornale online Fanpage.it, l’aborto rientrerebbe negli interventi indifferibili, quindi nelle urgenze da sbrigare anche in piena emergenza Coronavirus. È questa l’interpretazione, finora non smentita, della circolare emanata lo scorso 29 febbraio dal Ministero della Salute, circolare in cui si specifica con quali pazienti usare il bisturi.
Niente sala operatoria, dunque, per problemi ortopedici, oculistici, neppure per quelli oncologici, quando siano rinviabili senza rischi per il paziente. Ma quando si tratti di uccidere il figlio che si porta in grembo, allora chirurgo assicurato, alla pari di chi lamenti traumi gravi, problemi cardiaci, trapianti o qualsiasi altra si tuazione clinica, che comporti pericolo immediato di vita.
Gli aborti rientrerebbero insomma nell’ambito della «necessità comprovata», andrebbero comunque effettuati entro il limite previsto, non richiedendo peraltro posti-letto, ma essendo effettuabili in regime di day hospital o farmacologico. La fretta deriva evidentemente in questo caso non da un pericolo di vita, bensì da una volontà di morte, la volontà cioè di evitare a tutti i costi ed in tutti i modi che il bambino nasca. Un’orribile sentenza capitale verso un innocente senza difese”.

Sebbene la legislazione italiana indichi termini inderogabili ed indifferibili per interruzione di gravidanza (secondo quanto stabilito dalla legge 194/1978 l’interruzione di gravidanza è possibile entro i primi 90 giorni nelle strutture ospedaliere e a spese dello Stato. Si può abortire entro i primi cinque mesi nel caso in cui la gravidanza comporti rischi per la madre o per il bambino), la petizione lanciata da ProVita e Famiglia conta al momento più di dodicimila firme.

Attualmente il servizio abortivo in Italia, pur con tutti i limiti che conosciamo, sembra non aver subito variazioni tranne per alcuni ospedali del nord, particolarmente colpiti dal virus.

Siamo fortunatamente ancora distanti dall’Ohio o dal Texas dove l’aborto è diventato ufficialmente “non essenziale” e quindi vietato (l’ordine scadrà il 21 aprile, ma prima di allora qualsiasi operatore medico che fornisca aborti è passibile di sanzioni, sotto forma di multe fino a mille dollari o 180 giorni di carcere).

Ma “Non dimenticate mai che sarà sufficiente una crisi politica, economica o religiosa perché i diritti delle donne siano rimessi in discussione. Questi diritti non sono mai acquisiti. Dovete restare vigili durante il corso della vostra vita”.

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