Nel 1923, dopo la chiusura della Camera del lavoro di Bari, Di Vittorio decide di trasferire la famiglia a Roma. Il 13 settembre 1925 lo arrestano. Scarcerato il 10 maggio 1926 non resta molto in libertà: subisce altri arresti che inducono il Partito comunista, cui ha aderito nel 1924, a farlo espatriare.
“All’estero Di Vittorio svolge un’attività intensissima. Dal 1928 al 1930 è in Unione Sovietica quale rappresentante della Confederazione del lavoro nell’internazionale sindacale. Poi è a Parigi, ove si dedica al lavoro di direzione della Confederazione del lavoro e all’attività di propaganda fra i lavoratori italiani in Francia. Nel 1936 è tra i primi a raggiungere la Spagna come combattente a difesa della repubblica. Rientrato a Parigi assume la direzione de La voce degli italiani, quotidiano degli antifascisti in Francia. Nel 1939 anche in Francia inizia la caccia agli esponenti comunisti. Il giornale «La voce degli italiani» viene soppresso e Di Vittorio deve darsi alla clandestinità; il 10 febbraio 1941 viene scoperto e arrestato e, dopo un penoso peregrinare di carcere in carcere in territorio tedesco e poi in Italia, nel settembre successivo è avviato al confino a Ventotene, da dove viene liberato unitamente a tutti gli altri confinati politici nell’agosto 1943” (M. Magno, «la Capitanata», gen. - giu. 1967).
La lettura degli articoli della Voce ci restituisce un Di Vittorio originale e poco conosciuto: quello degli anni (1937-1939) nei quali dirige da Parigi il punto di riferimento fondamentale per l’emigrazione politica e di lavoro dei nostri connazionali in Francia nella seconda metà degli anni Trenta del Novecento.
Il primo numero del giornale viene dato alle stampe l’11 luglio 1937 (nonostante gli annunci della stampa comunista il giornale non riuscirà ad uscire come previsto dei funerali dei fratelli Rosselli).
“Per ragioni tecniche - scriveva il 26 giugno Il Grido del Popolo - il nostro quotidiano, di cui, data la situazione politica volevamo anticipare l’uscita, non ha potuto iniziare la sua pubblicazione il 19 corr. come avevamo sperato e annunciato. Alcuni servizi importanti non erano ancora pronti ed abbiamo dovuto rassegnarci a rinviare l’uscita del giornale a dopo che saranno sistemati. Con tutta probabilità ciò avverrà prestissimo, fra pochi giorni potremo dire la data precisa. I nostri amici vorranno scusarci del ritardo involontario e sostenerci nel nostro lavoro di messa a punto rapida dell’organizzazione che deve far vivere il nostro, il loro quotidiano” (con molta probabilità in realtà le autorità governative francesi avevano sospeso per precauzione, vista anche l’imminenza di una crisi ministeriale, le autorizzazioni necessarie alla pubblicazione, concessa qualche giorno più tardi).
Dalle colonne del quotidiano, Peppino si impegna strenuamente nella battaglia per l’approvazione in Francia dello Statuto giuridico degli immigrati e per il riconoscimento del diritto d’asilo ai rifugiati. E’ inoltre uno dei primi a denunciare la politica razzista del fascismo e la persecuzione contro gli ebrei in due articoli pubblicati nel settembre 1938.
Nell’aprile precedente, primo anniversario della morte di Antonio Gramsci, Di Vittorio pubblicava su La Voce il bellissimo articolo Un popolo al suo grande capo, che riproduciamo integralmente a seguire (da «La Voce degli italiani», 27 aprile 1938. La stessa pagina ospita i contributi di Palmiro Togliatti, Ruggero Grieco e Carlo Rosselli):
“La figura di Antonio Gramsci è di quelle che ingrandiscono a misura che si allontanano nel tempo. Onorando la memoria del martire, al quale i figli più eletti di tutti i popoli rendono il più commosso omaggio, noi abbiamo la certezza di esprimere l’intimo sentimento, non già d’un partito, ma di tutto il popolo italiano, che intravide in Gramsci il grande condottiero capace di guidarlo sulla via della riscossa e della vittoria. Nei pochi scritti su Gramsci che abbiamo potuto riportare in questa pagina, i nostri lettori troveranno le espressioni di rimpianto e di ammirazione dei compagni di lotta del grande martire, coloro ch’ebbero la fortuna di vivere e di lottare con lui e n’ebbero direttamente i primi insegnamenti – come Palmiro Togliatti, primo discepolo e degno continuatore di Gramsci; Ruggero Grieco; Mario Montagnana; Giovanni Parodi, ecc. ecc. – l’omaggio di personalità che onorano l’intera umanità, come il nostro grande amico Romain Rolland: degli scrittori di fama mondiale come Upton Sinclair; di uomini illustri come Jean Cassou, Henri Wallon, Andrée Viollis, ecc.
Nessuno aveva mai analizzato con eguale profondità ed acutezza di Antonio Gramsci, la composizione della società italiana, in tutti i suoi elementi costitutivi, nelle sue classi, nei suoi ceti intermedi, nella dinamica dei rapporti intercorrenti fra di loro; nessuno ne aveva mai determinato con eguale precisione i vizi fondamentali, le ingiustizie rivoltanti e le gravi conseguenze che ne derivano per il popolo e la nazione italiana, e ne imbrigliano lo slancio, ne ostacolano lo sviluppo e ne paralizzano lo sforzo progressivo. Ma Antonio Gramsci non era un contemplatore, né il freddo scienziato che limiti la sua soddisfazione alla esattezza della diagnosi. Antonio Gramsci rappresentava la sintesi più completa dello scienziato scrupoloso, dell’uomo d’azione, del capo rivoluzionario. Determinato il male di cui soffre la società italiana ed il suo popolo, Gramsci si applica con eguale passione ad indicarne i rimedi. Dopo la diagnosi, la cura, l’operazione chirurgica che deve guarire e rigenerare l’Italia, spezzando l’involucro pesante che costringe il suo popolo ad uno stato insopportabile di miseria, di arretratezza e d’ignoranza, fra residui abbondanti di feudalismo e di servaggio, specialmente nel Mezzogiorno e nella sua Sardegna.
Lo studio profondo dei mali e del marcio di cui è minata alla base la società italiana, e dei mezzi occorrenti per costruirne una nuova, fondata sulla giustizia sociale, sulla libertà, su dei principi che assicurino al paese il massimo sviluppo economico, civile e culturale, ha condotto Antonio Gramsci a identificare nella classe operaia la classe sfruttata più forte, più omogenea e più rivoluzionaria, capace di porsi all’avanguardia del popolo e di costruire la nuova società, non già per liberare soltanto se stessa, ma per liberare tutto il popolo, tutta la società, dalle catene secolari del capitale. Antonio Gramsci fu incontestabilmente il più profondo studioso delle teorie di Marx, di Engels e di Lenin; fu il più grande marxista che abbia avuto l’Italia, quello che meglio d’ogni altro seppe trarne gli insegnamenti concreti e che compì i più grandi sforzi per applicarne il metodo alla situazione del nostro paese. Divenuto capo del Partito della classe operaia, Antonio Gramsci seppe vivere fra gli operai, seppe parlare con loro, seppe apprendere da loro e seppe dar vita al più interessante movimento unitario creato dalla classe operaia italiana, sia per la sua forma originale d’organizzazione che per la precisione e l’ampiezza dei suoi obbiettivi: i Consigli di Fabbrica. Capo di un Partito operaio, Gramsci portava un interesse appassionato alla situazione dei contadini, dei braccianti, degli artigiani, dei piccoli commercianti, dei tecnici e degli intellettuali, di tutti gli strati del nostro popolo”.
«La voce degli italiani» sospende le pubblicazioni nell’estate del 1939. Vengono arrestati e internati diversi collaboratori del quotidiano, tra cui la giovane Anita Contini e Baldina Di Vittorio, entrambe rinchiuse nel campo di concentramento femminile di Rieucros al confine con i Pirenei.
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