Dal 1946 ad oggi non era mai successo, ma a causa dell’emergenza in corso il 25 aprile non potremo essere, come sempre, in piazza.
“La situazione è condizionata dall’emergenza Coronavirus – ha detto la presidente Anpi, Carla Nespolo, a Repubblica – Non possiamo fare assembramenti, non possiamo andare in piazza. Se però non c’è fisicamente la nostra presenza collettiva, ci sono ugualmente i nostri cuori partigiani e antifascisti”.
“Il 25 aprile in tutta Italia – è l’invito dell’associazione – dalle nostre finestre e dai nostri balconi esporremo i tricolori e i fazzoletti dell’Anpi, e invitiamo tutti con noi ad esporre simboli antifascisti per il 25 aprile 2020, 75mo della finale vittoriosa insurrezione della Resistenza d’Italia al nazifascismo e a cantare Bella Ciao, simbolo della Resistenza in tutto il mondo”.
In tutto il mondo, letteralmente, perché Bella ciao è stata negli anni tradotta in tutte le lingue esistenti.
Il tema della libertà contro un oppressore non precisato l’ha resa un brano adattabile, cantato dai braccianti messicani in California fino alle manifestazioni a seguito della strage di Charlie Hebdo.
L’hanno cantata gli Indignados di ogni angolo di mondo per affermare diritti di uguaglianza, partecipazione, annullamento del potere delle banche e delle multinazionali.
Ad Atene ha accompagnato l’utopia populista di Tsipras, a Istanbul la rivolta contro l’Islam autoritario di Erdogan.
E’ stata cantata dai cileni in rivolta contro il presidente Sebastián Piñera, dalle combattenti curde in Rojava, dai manifestanti iracheni in rivolta contro le politiche del primo ministro Adel Abdul Mahdi.
In Italia l’hanno cantata tutti, non solo i comunisti, come qualcuno vorrebbe erroneamente farci pensare (scriveva lo scorso anno su Famiglia Cristiana Orsola Vetri: “Chi scrive ricorda che in pieni anni ‘70 la insegnavano le maestre a scuola insieme ad altre canzoni regionali – Romagna mia – o storiche – La leggenda del Piave). La si cantava con i nonni durante le passeggiate in montagna. Oppure la si urlava accompagnata dalla chitarra con i capi scout dell’Agesci intorno al fuoco di bivacco”).
L’hanno cantata i nostri nonni, i nostri genitori, i lavoratori – di ieri e di oggi,- , i ragazzi di Fridays for Future, le Sardine.
L’hanno cantata con noi, per noi, in questo terribile periodo, dalla Germania e non solo, perché se c’è una cosa che il virus ci ha insegnato è che non esistono i confini e che i muri che abbiamo stoltamente pensato di costruire in questi anni esistono solo nelle nostre teste.
Ce lo insegna Bella ciao, ce lo ricorda la stessa Resistenza. Una Resistenza multietnica, internazionalista, migrante.
Sono oltre 50 le nazionalità rappresentate nella Resistenza italiana.
Il caso più numeroso, più noto e studiato è quello dei partigiani sovietici. Ma hanno contribuito alla nostra liberazione uomini e donne jugoslavi, polacchi, cechi, slovacchi, ungheresi, danesi, olandesi, austriaci, tedeschi, indiani, australiani, irlandesi, africani.
Allo stesso modo numerosi sono stati gli italiani che hanno aiutato i partigiani di altre nazioni nella loro battaglia contro il fascismo e i suoi alleati (i volontari antifascisti nella Guerra di Spagna sono l’esempio più noto ma non l’unico, al quale bisogna sommare, solo per fare alcuni esempi le Brigate partigiane jugoslave, albanesi, greche).
Un internazionalismo, inteso senza connotazione politica come l’aspirazione alla solidarietà e alla cooperazione tra i popoli, che per mezzo del Coronavirus stiamo riscoprendo grazie alla solidarietà, all’affetto, agli aiuti ricevuti.
“È vero che tutti sono rinchiusi dentro le loro frontiere, anche Paesi ricchissimi hanno girato la schiena agli altri, ma forse perché non siamo ricchi ma neanche privi di memoria, non ci possiamo permettere di non dimostrare all’Italia che gli albanesi e l’Albania non abbandonano mai l’amico in difficoltà”, diceva qualche giorno fa il presidente albanese in un italiano che dovrebbe far tornare la voglia di studiare a molti dei frequentatori dei salotti televisivi di questo periodo.
Parole che toccano il cuore e che distruggono nei fatti, in meno di un minuto, anni di retorica e populismi.
“Ciascuno cresce solo se sognato”, diceva ormai tanti anni fa Danilo Dolci.
Forse dopo tutto questo una società migliore non sarà un sogno così lontano, e torneremo ad essere umani.
Tutti, nonostante tutto.
Ilaria Romeo, Archivio Storico Cgil (pubblicato su Fortebraccio il 16 aprile 2020)
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