Il 16 luglio 1960 viene stipulato a Milano, tra Confindustria e sindacati, l’accordo interconfederale sulla parità salariale tra lavoratori e lavoratrici relativamente ai soli settori industriali. L’accordo, che si ispira a quello stipulato a febbraio per il settore tessile, abolisce le discriminazioni per sesso eliminando dai contratti nazionali collettivi di lavoro le tabelle remunerative differenti per uomini e donne, stabilisce aumenti per le lavoratrici e la rivalutazione immediata della contingenza. Le donne otterranno la parità salariale in agricoltura nel 1964. La legge n. 7 del 9 gennaio 1963 stabilisce il divieto di licenziamento a causa di matrimonio.
Sul tema della parità di genere riproponiamo le parole di un’anonima cittadina veneta sui diritti delle donne. Correva l’anno 1797. Il testo è tratto dal volume Raccolta di carte pubbliche, istruzioni, legislazioni ec. ec. ec. del nuovo veneto governo democratico, volume IX, Venezia 1797, pp. 189 ss., anche in Giacobini italiani (II), a cura di Delio Cantimori e Renzo De Felice, Laterza, Bari 1964, pp. 463-464.
“[…] In somma noi altre donne, o popoli dell’Italia siamo individui dell’umanità, siamo una metà del genere umano; siamo uguali per natura al rimanente degli uomini; abbiamo un vero diritto naturale di approvare o riprovar le nuove leggi; abbiamo finalmente tutta la propensione necessaria per l’esercizio di questo nostro diritto. Dunque le nostre pretensioni sono giuste, e fondate sulla legge naturale; dunque l’esclusione che fosse per dare in appresso alle donne in tutti i vostri consessi, sarebbe un’esclusione contraria all’equità. Dunque tutti i progetti che da qui innanzi si maneggeranno, tutte le leggi che si pubblicheranno, saranno invalide senza il nostro concorso. Dunque è vostro dovere il chiamar le donne a Consiglio per dare al sistema di libertà ed eguaglianza il conveniente vigore ed autenticità. Non dovrete arrossire d’imitare i dottissimi Ateniesi, ed i prudentissimi Spartani, i quali dividevano colle loro donne le pubbliche cure del Governo. Voi, o Italiani, siete filosofi, e perciò non potrete lasciar di fare quello che v’insegna la filosofia e che vi detta la natura. Voi siete gli amanti della Libertà, non potrete soffrire che rimanga schiava una metà intera del genere umano. Voi siete i difensori dell’eguaglianza, e non potrete far a meno di sostenere la causa di chi è simile a voi, ed eguale vostro. Voi siete politici, e dovete conoscere per necessità, che se il nostro sesso vi è amico, l’esecuzione del gran vostro progetto è sicura; se è contrario a’ vostri disegni, questi stessi vostri disegni saranno vani. Voi siete finalmente appassionati e pieghevoli pel nostro sesso, e non potrete fare a meno di non armarvi tutti a difesa delle femmine Italiane in una causa si giusta. Così lo speriamo dalla filosofia, dalla giustizia e dall’amorevolezza vostra. [...]”.
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