Passa ai contenuti principali

Una legge per portare la Costituzione nei luoghi di lavoro - di Giuseppe Di Vittorio

Abbiamo il dovere di difendere le libertà democratiche e i diritti sindacali che sono legati alla questione del pane e del lavoro; abbiamo il dovere di difendere i diritti democratici dei cittadini e dei lavoratori italiani, anche all’interno delle fabbriche. In realtà oggi i lavoratori cessano di essere cittadini della Repubblica italiana quando entrano nella fabbrica. Anche certi studiosi, prima ancora che noi annunciassimo la nostra iniziativa per la presentazione di uno “Statuto per la difesa dei diritti, della libertà e della dignità del lavoratore nell’azienda”, hanno riconosciuto questa esigenza, che però gli industriali non vogliono riconoscere. Quando al congresso dei chimici io annunciai l’idea di proporre lo “Statuto”, qualche giornale degli industriali scrisse: “Ma Di Vittorio dimentica che le aziende appartengono ai padroni e che coloro che vi entrano debbono ubbidire ai padroni”. È una risposta, questa, che rivela proprio una mentalità feudale, che rivela come i lavoratori siano considerati dai padroni come loro proprietà, come se fossero degli attrezzi qualsiasi. I padroni non considerano il lavoratore un uomo, lo considerano una macchina, un automa. Ma il lavoratore non è un attrezzo qualsiasi, non si affitta, non si vende. Il lavoratore è un uomo, ha una sua personalità, un suo amor proprio, una sua idea, una sua opinione politica, una sua fede religiosa e vuole che questi suoi diritti vengano rispettati da tutti e in primo luogo dal padrone. È per questo che noi pensiamo che i lavoratori debbono condurre una grande lotta per rivendicare il diritto di essere considerati uomini nella fabbrica e perciò sottoponiamo al congresso un progetto di “Statuto” che intendiamo proporre, non come testo definitivo, alle altre organizzazioni sindacali (perché questa esigenza l’ho sentita esprimere recentemente anche da dirigenti di altre organizzazioni sindacali), per poter discutere con esse ed elaborare un testo definitivo da presentare ai padroni e lottare per ottenerne l’accoglimento e il riconoscimento solenne. Tutta l’esperienza storica, non soltanto nostra, dimostra che la democrazia, se c’è nella fabbrica c’è anche nel Paese e che se la democrazia è uccisa nella fabbrica essa non può sopravvivere nel Paese. Noi dobbiamo difendere la democrazia nella fabbrica, il che non vuol dire che vogliamo sottrarre i lavoratori a ogni disciplina di carattere produttivo, professionale. No, il lavoratore deve compiere il proprio dovere nell’azienda, non deve distrarsi dai suoi doveri. Ma, nelle ore libere dal lavoro, ha il diritto, anche all’interno dell’azienda, di conservare le sue idee, di propagandarle, di diffondere la stampa che vuole, di svolgere il lavoro sindacale, in una parola deve essere considerato un uomo libero, non uno schiavo. Noi perciò sottoponiamo all’approvazione del congresso il testo che proporremo alle altre organizzazioni sindacali: 2010


STATUTO DEI DIRITTI DEI LAVORATORI NELLE AZIENDE 


1) Il rapporto di lavoro tra padrone e dipendente non può in nessun modo, e per nessun motivo, ridurre o limitare i diritti inviolabili che la Costituzione repubblicana italiana riconosce all’uomo sia come singolo, sia nelle formazioni sociali dove svolge la sua personalità (Costituzione art. 2). Perciò anche nel luogo di lavoro i dipendenti conservano totalmente e integralmente, nei confronti del padrone, o di chi per esso, i propri diritti, di cittadini, la loro dignità umana, e la libertà di poter sviluppare, senza ostacoli o limitazioni, la propria personalità morale, intellettuale e politica.


2) Il rapporto di lavoro riconosce al padrone solo il diritto di esigere dal proprio dipendente una determinata prestazione d’opera, per un determinato periodo di tempo, nel rispetto di una data organizzazione e disciplina del lavoro. Nella realizzazione di questo diritto il padrone, o chi per esso, deve rispettare la inviolabilità personale del dipendente (Costituzione art. 13). Perciò, per nessun motivo, il padrone, o chi per esso, può ricorrere, nei confronti del proprio dipendente a insulti, a violenze fisiche o morali, sottoporlo a ispezioni o perquisizioni, per motivi non espressamente autorizzati dai regolamenti di fabbrica, o procedere a controlli e sequestri di cose di qualsiasi natura che gli appartengano.

3) Il rapporto di lavoro non può in nessun modo e per nessun motivo vincolare o limitare i diritti civili del dipendente. Meno che mai può limitare il diritto del lavoratore di discutere con i suoi compagni le questioni relative al proprio lavoro, di collaboratore alla gestione delle aziende, di tutelare i propri interessi di lavoratore e di adempiere ai propri doveri associativi (Costituzione artt. 39-40-46). Perciò anche nell’azienda, e durante il tempo non occupato nella produzione, ogni dipendente deve poter fruire liberamente del diritto di manifestare il proprio pensiero, di leggere e far circolare la stampa permessa dalla legge, di associarsi, di riunirsi e di far opera di proselitismo e di organizzazione.

4) Il rapporto di lavoro non deve essere soggetto a nessuna discriminazione politica, religiosa e razziale. Per le assunzioni, per la determinazione delle qualifiche e delle retribuzioni e per le promozioni devono valere solo le norme stabilite dal contratto sindacale e dalla legge, le attitudini o le capacità individuali, i meriti professionali acquisiti (Costituzione artt. 3-36). Perciò non vi può essere rottura di rapporto di lavoro per ragioni estranee alle esigenze della produzione, né per rappresaglia contro il dipendente a causa della sua appartenenza a determinate organizzazioni o a causa delle sue convinzioni politiche o religiose, né per vendetta contro il lavoratore che intenda far rispettare la propria libertà di cittadino, la propria dignità civile e morale ed il proprio diritto ad esigere che la proprietà assolva ai compiti sociali prescritti dalla Costituzione della Repubblica italiana.

dalla relazione al III Congresso della Cgil, Napoli, 26 novembre - 3 dicembre 1952.

Commenti

Post popolari in questo blog

Perché l’umanità ha sempre avuto paura delle donne che volano, siano esse streghe o siano esse libere

Ve le ricordate “le due Simone”? Simona Pari e Simona Torretta, rapite nel 2004 a Baghdad nella sede della Ong per cui lavoravano e rientrate a Fiumicino dopo cinque mesi e mezzo di prigionia. “Oche gulive” le definì un giornale (volutamente con l’articolo indeterminativo e la g minuscola!) commentando il desiderio delle due ragazze di ritornare alla loro vita normale precedente il rapimento. E Greta Ramelli e Vanessa Marzullo, le due ragazze italiane rapite in Siria più o meno dieci anni dopo, ve le ricordate? Ve le ricordate ancora Carola Rackete, Greta Thunberg, Laura Boldrini, da ultima Giovanna Botteri? Cosa hanno in comune queste donne? Probabilmente tante cose, probabilmente nulla, ma una è talmente evidente da non poter non essere notata: sono state tutte, senza pietà e senza rispetto, lapidate sul web. Perché verrebbe da chiedersi? E la risposta che sono riuscita a darmi è solamente una: perché sono donne indipendenti, nel senso più vero ed intimo della parola. An

Franca Rame, Lo stupro

C’è una radio che suona… ma solo dopo un po’ la sento. Solo dopo un po’ mi rendo conto che c’è qualcuno che canta. Sì, è una radio. Musica leggera: cielo stelle cuore amore… amore… Ho un ginocchio, uno solo, piantato nella schiena… come se chi mi sta dietro tenesse l’altro appoggiato per terra… con le mani tiene le mie, forte, girandomele all’incontrario. La sinistra in particolare. Non so perché, mi ritrovo a pensare che forse è mancino. Non sto capendo niente di quello che mi sta capitando. Ho lo sgomento addosso di chi sta per perdere il cervello, la voce… la parola. Prendo coscienza delle cose, con incredibile lentezza… Dio che confusione! Come sono salita su questo camioncino? Ho alzato le gambe io, una dopo l’altra dietro la loro spinta o mi hanno caricata loro, sollevandomi di peso? Non lo so. È il cuore, che mi sbatte così forte contro le costole, ad impedirmi di ragionare… è il male alla mano sinistra, che sta diventando davvero insopportabile. Perché me l

Nel suo volto la storia dei cafoni

Pepite d’Archivio: ancora Gianni Rodari su Giuseppe Di Vittorio in un NUOVO, bellissimo testo da leggere tutto d’un fiato. Il brano, recuperato da Ilaria Romeo (responsabile dell’Archivio storico CGIL nazionale che lo conserva)  è tratto da «Paese Sera» del 3 novembre 1977 “Il 3 novembre del 1957 moriva a Lecco, dove si era recato per inaugurare la sede della Camera del lavoro, Giuseppe Di Vittorio. Ricordo la commozione di quelle ore, mentre la salma veniva trasportata a Roma per i funerali. Ricordo quei funerali. Roma ne ha conosciuti di più grandiosi. Quello di Togliatti, anni dopo, ebbe le proporzioni di una gigantesca manifestazione di forza. Ma non si è mai vista tanta gente piangere come ai funerali di Di Vittorio. Anche molti carabinieri del servizio d’ordine avevano le lacrime agli occhi. La cosa non stupiva. Di Vittorio non era stato solo il capo della Cgil e per lunghi anni un dirigente tra i più popolari del Pci: era diventato un uomo di tutti, stava nel cuore de