Passa ai contenuti principali

La strage di Portella nei verbali della CGIL


di Ilaria Romeo
responsabile Archivio storico CGIL nazionale



Il 2 maggio 1947, immediatamente dopo la strage di Portella della Ginestra, viene convocato d’urgenza il Comitato direttivo della CGIL.

Assente Giuseppe Di Vittorio, intervengono alla discussione Lizzadri, Massini, Pilia, Parodi, Giannitelli, Buschi, Baldelli, Cappugi e Casanti; per la Confederterra Zini e Vidimari; Valdarchi per i poligrafici.

L’ordine del giorno licenziato dal Comitato direttivo confederale, votato a maggioranza - ma non all’unanimità - senza l’adesione dei democristiani, delibera l’astensione del lavoro in tutta Italia per il giorno successivo, sabato 3 maggio, dalle ore 11 in poi.

Il rifiuto dei sindacalisti democristiani di aderire alla protesta contro un crimine che aveva colpito profondamente e dolorosamente tutta l’opinione pubblica è senza dubbio sintomatico e legato all’esigenza di adeguarsi alla richiesta di modifica dell’art. 9 dello Statuto confederale, già sollevata e della quale sentiremo ancora molto parlare.

La questione è al centro delle polemiche che accompagnano la preparazione e lo svolgimento del Congresso della CGIL, tenuto nel giugno di quell’anno a Firenze.

L’articolo 9, approvato all’unanimità al Congresso di Napoli, recitava: «L’indipendenza dei sindacati dai partiti politici e dallo Stato non significa agnosticismo dei sindacati di fronte a tutti i problemi di carattere politico. La CGIL prenderà posizione su tutti i problemi politici che interessano non già questo o quel partito, bensì la generalità dei lavoratori, come quello della conquista e dello sviluppo della democrazia e delle libertà popolari, quelli relativi alla legislazione sociale, alla ricostruzione ed allo sviluppo economico del paese, difendendo le soluzioni favorevoli agli interessi dei lavoratori».

Di Vittorio difende al Congresso l’art. 9 con grande passione: “La difesa della libertà in un paese che da pochissimo tempo e con tanto sangue è riuscito a conquistarsela dopo venti anni di tirannide - afferma il segretario - in un paese in cui ci sono già tante forze che la insidiano, la difesa della libertà non può essere compito solo dello Stato e dei partiti. D’altra parte, siccome la libertà è il bene supremo di tutti i popoli e di tutti i lavoratori, dare ai partiti il monopolio della difesa della libertà è come voler costringere i lavoratori ad iscriversi per forza ad un partito politico. Noi abbiamo più della metà degli aderenti alla Confederazione del Lavoro che non è iscritta a nessun partito, quindi quei milioni di lavoratori non dovrebbero avere la possibilità di difendere la libertà perché non stanno nei partiti e, probabilmente, non si sentono di entrarvi né noi possiamo obbligarli a farlo. Ma questi lavoratori, pur non essendo in un partito, vogliono difendere, attraverso la loro organizzazione, la libertà perché la libertà è un bene supremo”.

Non persuasi, i democristiani che intervengono al dibattito (tra questi Pastore, Cappugi, Sabatini), insistono per l’abolizione dell’art. 9 che, a loro avviso, rappresenta un ostacolo alla realizzazione di una vera unità sindacale, dando la possibilità alle correnti di maggioranza, comunista e socialista, di prendere in determinate occasioni, posizioni politiche di parte.

Per superare le resistenze, Di Vittorio propone loro di accettare un emendamento proposto da Fernando Santi, in virtù del quale “gli eventuali interventi delle organizzazioni sindacali sui problemi sopra indicati (la difesa della Repubblica e dello sviluppo della democrazia e delle libertà popolari, quelli relativi alla legislazione sociale, alla ricostruzione ed allo sviluppo economico del paese), essendo di carattere eccezionale, potranno effettuarsi soltanto se deliberati dall’organo dirigente dell’organizzazione interessata, regolarmente convocato, a maggioranza di tre quarti dei componenti presenti”.

La formula, benché ampia, non raccoglie i voti dei democristiani che si astengono, lasciando aperta una ferita che ricomincerà a sanguinare l’anno successivo, uccidendo - di fatto - l’unità.

Commenti

Post popolari in questo blog

Perché l’umanità ha sempre avuto paura delle donne che volano, siano esse streghe o siano esse libere

Ve le ricordate “le due Simone”? Simona Pari e Simona Torretta, rapite nel 2004 a Baghdad nella sede della Ong per cui lavoravano e rientrate a Fiumicino dopo cinque mesi e mezzo di prigionia. “Oche gulive” le definì un giornale (volutamente con l’articolo indeterminativo e la g minuscola!) commentando il desiderio delle due ragazze di ritornare alla loro vita normale precedente il rapimento. E Greta Ramelli e Vanessa Marzullo, le due ragazze italiane rapite in Siria più o meno dieci anni dopo, ve le ricordate? Ve le ricordate ancora Carola Rackete, Greta Thunberg, Laura Boldrini, da ultima Giovanna Botteri? Cosa hanno in comune queste donne? Probabilmente tante cose, probabilmente nulla, ma una è talmente evidente da non poter non essere notata: sono state tutte, senza pietà e senza rispetto, lapidate sul web. Perché verrebbe da chiedersi? E la risposta che sono riuscita a darmi è solamente una: perché sono donne indipendenti, nel senso più vero ed intimo della parola. An

Il giuramento di Mauthausen

Si aprono le porte di uno dei campi peggiori e più insanguinati: quello di Mauthausen. Stiamo per ritornare nei nostri paesi liberati dal fascismo, sparsi in tutte le direzioni. I detenuti liberi, ancora ieri minacciati di morte dalle mani dei boia della bestia nazista, ringraziano dal più profondo del loro cuore per l’avvenuta liberazione le vittoriose nazioni alleate, e saluta no tutti i popoli con il grido della libertà riconquistata. La pluriennale permanenza nel campo ha rafforzato in noi la consapevolezza del valore della fratellanza tra i popoli. Fedeli a questi ideali giuriamo di continuare a combattere, solidali e uniti, contro l’imperialismo e contro l’istigazione tra i popoli. Così come con gli sforzi comuni di tutti i popoli il mondo ha saputo liberarsi dalla minaccia della prepotenza hitleriana, dobbiamo considerare la libertà conseguita con la lotta come un bene comune di tutti i popoli. La pace e la libertà sono garanti della felicità dei popoli, e la ricostruzion

Nel suo volto la storia dei cafoni

Pepite d’Archivio: ancora Gianni Rodari su Giuseppe Di Vittorio in un NUOVO, bellissimo testo da leggere tutto d’un fiato. Il brano, recuperato da Ilaria Romeo (responsabile dell’Archivio storico CGIL nazionale che lo conserva)  è tratto da «Paese Sera» del 3 novembre 1977 “Il 3 novembre del 1957 moriva a Lecco, dove si era recato per inaugurare la sede della Camera del lavoro, Giuseppe Di Vittorio. Ricordo la commozione di quelle ore, mentre la salma veniva trasportata a Roma per i funerali. Ricordo quei funerali. Roma ne ha conosciuti di più grandiosi. Quello di Togliatti, anni dopo, ebbe le proporzioni di una gigantesca manifestazione di forza. Ma non si è mai vista tanta gente piangere come ai funerali di Di Vittorio. Anche molti carabinieri del servizio d’ordine avevano le lacrime agli occhi. La cosa non stupiva. Di Vittorio non era stato solo il capo della Cgil e per lunghi anni un dirigente tra i più popolari del Pci: era diventato un uomo di tutti, stava nel cuore de