di Ilaria Romeo
responsabile Archivio storico CGIL nazionale
Si svolgerà in Sicilia, a Portella della Ginestra, in occasione dei 70 anni dallo storico e tragico eccidio, il Primo Maggio sindacale CGIL, CISL e UIL di quest’anno.
Il Primo Maggio 1948, primo anniversario di Portella della Ginestra, è in realtà l’ultimo celebrato dalla CGIL unitaria.
Da quel momento si apre una lunga stagione di feste del lavoro separate che terminerà soltanto vent’anni dopo, a partire dal 1970.
In una nuova stagione di forte tensione unitaria, affermerà nel 1972 Rinaldo Scheda (storico segretario di Organizzazione della CGIL) in occasione del 25° anniversario della strage: “A 25 anni, dai fatti che fecero di quel 1° maggio 1947, qui a Portella, una giornata di sangue. Di sangue sparso da vittime innocenti, vittime del furore reazionario, non poteva mancare la presenza unitaria delle tre Confederazioni, della CISL, della UIL e della CGIL. Siamo venuti per ricordare le vittime della strage, ma anche a testimoniare davanti a voi, lavoratori, e insieme a voi, la volontà di proseguire una lotta. Oggi più che mai aperta, non conclusa. Certo il sacrificio di Portella non è stato vano” (il discorso, conservato presso l’Archivio storico FLAI Donatella Turtura, mi è stato segnalato dalla responsabile, Valeria Cappucci, che ringrazio).
LEGGI L’INTERVENTO COMPLETO DI RINALDO SCHEDA
Dirà Luciano Lama in occasione del 30° anniversario dell'eccidio intervenendo alla Assemblea regionale siciliana il 28 aprile 1977 a nome della Federazione unitaria, ‘che oggi è rappresentata da me in questa manifestazione - dirà il segretario - e che riunisce nel suo seno otto milioni di lavoratori italiani’: “Siamo riuniti qui, oggi, per ricordare un evento terribile verificatosi trent’anni fa: la strage di Portella della Ginestra, l’uccisione fredda, premeditata di dodici lavoratori da parte di Giuliano, un bandito che allora insanguinava con le sue gesta le terre dell’isola, braccio armato della reazione agraria. Quel primo maggio che doveva essere, come sempre, giornata di lotta ma anche festa, incontro pacifico fra i lavoratori, diventò un giorno di lutto, una tragedia che scosse profondamente i lavoratori italiani e l’intero paese, anche se la rottura dell’unita politica nazionale innestò su questo evento drammatico e specie sui mandanti e sulle responsabilità politiche, dibattiti e polemiche che durarono anni. Prima della strage di Portella e dopo, per molto tempo, si è snodata lunga la catena dei dirigenti sindacali, dei capi contadini uccisi dalla mafia e dalle forze più reazionarie della proprietà agraria e assenteista e degli speculatori sugli appalti pubblici in Sicilia. Nel volgere degli anni, dirigenti sindacali e lavoratori più impegnati nella lotta sociale sono stati colpiti e uccisi. Oggi, a trent’anni dall’eccidio di Portella della Ginestra, il modo più serio di ricordare il sacrificio di questi compagni è fare un bilancio della situazione, valutare se tanto sangue è stato versato per qualche cosa o per nulla”.
LEGGI L’INTERVENTO COMPLETO DI LUCIANO LAMA
Il Primo Maggio del 1984, il primo dopo la rottura di San Valentino, CGIL, CISL e UIL si separano di nuovo, ma a partire dal 1986, riprendono la tradizione unitaria per i festeggiamenti del Primo Maggio, scegliendo ogni anno un tema specifico cui dedicare l’evento e un luogo nel quale riunirsi.
Si parte da Reggio Calabria nel 1986 e si arriva di nuovo a Portella l’anno successivo.
Celebrando il 40° anniversario della strage affermerà Pizzinato, segretario generale della CGIL: “Compagne, compagni, amici, lavoratori immigrati di molti paesi, con questa grande e combattiva manifestazione di lavoratori e di popolo celebriamo unitariamente il 1° Maggio, qui in Sicilia, a Portella della Ginestra: luogo che è diventato emblema della lotta per il lavoro, per il progresso sociale contro la criminalità organizzata, per un’Italia nuova. Nuovamente nel Mezzogiorno, come lo scorso anno a Reggio Calabria, per riprendere il filo e dare continuità all’impegno nostro, assunto con tutti i lavoratori italiani sotto le bandiere di ‘lavoratori del Nord e del Sud uniti nella lotta’. Uniti contro l’eversione del ‘Boia chi molla’, della mafia, della camorra, contro la politica di emarginazione del Meridione, per il riscatto del lavoro. Sono passati quarant’anni da allora, da quel Primo Maggio 1947, da quando in questa piana le forze del banditismo politico mafioso perpetrarono la strage di lavoratori, di donne, di bambini, tutti figli del popolo del Sud (11 morti di cui 2 bambini, 27 feriti). Si voleva sbarrare la strada con la violenza alle forze del riscatto, della riforma agraria, della rinascita, del progresso e della democrazia nel Mezzogiorno e nell’intero paese. Questa strage fu anche 1a prima delle trame che da allora hanno intossicato la vita politica italiana e su cui non si è mai fatta completa luce sui mandanti politici: poi vennero le stragi di Piazza Fontana a Milano, Piazza della Loggia a Brescia, l’Italicus e quella della stazione di Bologna e altre. Siamo tornati a Portella della Ginestra, perché in questi quarant’anni, grazie alle lotte e ai sacrifici dei lavoratori, la Sicilia, il Mezzogiorno e l’Italia sono cambiati; ma drammaticamente restano, sia pure in forma diversa, i due gravi problemi di allora: la questione meridionale (e si è riaperta la forbice delle differenze a suo sfavore!) e la criminalità organizzata (la mafia, la camorra, la ‘ndrangheta)”.
LEGGI L’INTERVENTO COMPLETO DI ANTONIO PIZZINATO
CGIL CISL e UIL si ritrovano di nuovo a Portella nel 1997, in occasione del 50° anniversario della strage. Scriverà Guglielmo Epifani, futuro segretario generale e nel 1997 numero due della CGIL, su «Rassegna Sindacale»: “Il sindacato ritorna a Portella delle Ginestre nel giorno della festa del lavoro, a cinquant’anni dalla strage del 1947. Che significato ha oggi questa scelta, al di là dei pur importanti carichi celebrativi e commemorativi? Per molti versi il 1° maggio del 1947 è assai distante dall’Italia di oggi. Si stava ricostruendo, allora, un paese uscito sconfitto e umiliato dalla guerra e dal ventennio fascista. Alcide De Gasperi si apprestava a concludere l’esperienza dei governi di unità nazionale. Era rientrato tre mesi prima dal suo famoso viaggio negli Stati Uniti, dove aveva avuto crediti per la ricostruzione del paese e sollecitazioni per un cambio di maggioranza politica nel quadro del diverso clima mondiale che avrebbe portato di lì a poco alla guerra fredda e alla rigida divisione del mondo in due blocchi. L’Assemblea costituente stava terminando i propri lavori e qualche settimana prima era stato votato l’art. 7 della nuova Costituzione. C’era stata la scissione di Palazzo Barberini e si creavano le premesse per i governi centristi degli anni cinquanta. L’Italia stava imboccando, con grande fatica, la strada della ricostruzione economica e materiale, con la riconversione del proprio apparato industriale e produttivo. Metà del paese viveva ancora nelle campagne, la tradizionale lotta tra latifondisti, contadini e braccianti trovava soprattutto nel Mezzogiorno i suoi nodi più drammatici e conflittuali, e le associazioni mafiose (la prima mafia, quella appunto legata agli interessi e alla cultura del mondo agricolo) operavano per ricostruire il blocco sociale consolidato negli anni del fascismo e reso fragile dalle vicende della guerra e dalle tensioni sociali conseguenti. Portella fu, appunto, il crocevia drammatico di questi processi e segnò, contro il sindacato, l’atto costitutivo del ruolo che la nuova mafia si assegnava nella ricostruzione del paese. Per questo non poteva essere il primo e purtroppo neanche l’ultimo fatto di sangue, come dimostra la straordinaria catena di omicidi e lutti che colpì la parte più esposta della Cgil e della Federbraccianti della Sicilia. Tornare a Portella oggi, in un’Italia che è molto cambiata, ma che conserva ancora dentro di sé contraddizioni storiche non risolte, vuol dire quindi principalmente che le parole d’ordine di quel 1° maggio hanno ancora un valore nelle condizioni dell’Italia odierna; che la battaglia per il lavoro in molte aree del paese deve ancora essere vinta; che la lotta contro la mafia e le altre associazioni criminali non può abbassare la guardia e che la legalità democratica ha bisogno della forza del mondo del lavoro e dei sindacati confederali. In quel piano assolato di Portella, in quella primavera, fu lanciata una sfida ai lavoratori e alle organizzazioni sociali di massa. Una sfida che la Cgil, e soprattutto la Cgil siciliana, ha saputo affrontare e in molte occasioni vincere, senza piegarsi alle intimidazioni, e che oggi ci fa commemorare quei nostri compagni uccisi dalla mano delle bande di mafia con la fierezza di averne rispettato il sacrificio e continuato l’impegno morale e civile”.
ASCOLTA L’INTERVENTO DI SERGIO COFFERATI
Il Primo Maggio 1948, primo anniversario di Portella della Ginestra, è in realtà l’ultimo celebrato dalla CGIL unitaria.
Da quel momento si apre una lunga stagione di feste del lavoro separate che terminerà soltanto vent’anni dopo, a partire dal 1970.
In una nuova stagione di forte tensione unitaria, affermerà nel 1972 Rinaldo Scheda (storico segretario di Organizzazione della CGIL) in occasione del 25° anniversario della strage: “A 25 anni, dai fatti che fecero di quel 1° maggio 1947, qui a Portella, una giornata di sangue. Di sangue sparso da vittime innocenti, vittime del furore reazionario, non poteva mancare la presenza unitaria delle tre Confederazioni, della CISL, della UIL e della CGIL. Siamo venuti per ricordare le vittime della strage, ma anche a testimoniare davanti a voi, lavoratori, e insieme a voi, la volontà di proseguire una lotta. Oggi più che mai aperta, non conclusa. Certo il sacrificio di Portella non è stato vano” (il discorso, conservato presso l’Archivio storico FLAI Donatella Turtura, mi è stato segnalato dalla responsabile, Valeria Cappucci, che ringrazio).
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Dirà Luciano Lama in occasione del 30° anniversario dell'eccidio intervenendo alla Assemblea regionale siciliana il 28 aprile 1977 a nome della Federazione unitaria, ‘che oggi è rappresentata da me in questa manifestazione - dirà il segretario - e che riunisce nel suo seno otto milioni di lavoratori italiani’: “Siamo riuniti qui, oggi, per ricordare un evento terribile verificatosi trent’anni fa: la strage di Portella della Ginestra, l’uccisione fredda, premeditata di dodici lavoratori da parte di Giuliano, un bandito che allora insanguinava con le sue gesta le terre dell’isola, braccio armato della reazione agraria. Quel primo maggio che doveva essere, come sempre, giornata di lotta ma anche festa, incontro pacifico fra i lavoratori, diventò un giorno di lutto, una tragedia che scosse profondamente i lavoratori italiani e l’intero paese, anche se la rottura dell’unita politica nazionale innestò su questo evento drammatico e specie sui mandanti e sulle responsabilità politiche, dibattiti e polemiche che durarono anni. Prima della strage di Portella e dopo, per molto tempo, si è snodata lunga la catena dei dirigenti sindacali, dei capi contadini uccisi dalla mafia e dalle forze più reazionarie della proprietà agraria e assenteista e degli speculatori sugli appalti pubblici in Sicilia. Nel volgere degli anni, dirigenti sindacali e lavoratori più impegnati nella lotta sociale sono stati colpiti e uccisi. Oggi, a trent’anni dall’eccidio di Portella della Ginestra, il modo più serio di ricordare il sacrificio di questi compagni è fare un bilancio della situazione, valutare se tanto sangue è stato versato per qualche cosa o per nulla”.
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Il Primo Maggio del 1984, il primo dopo la rottura di San Valentino, CGIL, CISL e UIL si separano di nuovo, ma a partire dal 1986, riprendono la tradizione unitaria per i festeggiamenti del Primo Maggio, scegliendo ogni anno un tema specifico cui dedicare l’evento e un luogo nel quale riunirsi.
Si parte da Reggio Calabria nel 1986 e si arriva di nuovo a Portella l’anno successivo.
Celebrando il 40° anniversario della strage affermerà Pizzinato, segretario generale della CGIL: “Compagne, compagni, amici, lavoratori immigrati di molti paesi, con questa grande e combattiva manifestazione di lavoratori e di popolo celebriamo unitariamente il 1° Maggio, qui in Sicilia, a Portella della Ginestra: luogo che è diventato emblema della lotta per il lavoro, per il progresso sociale contro la criminalità organizzata, per un’Italia nuova. Nuovamente nel Mezzogiorno, come lo scorso anno a Reggio Calabria, per riprendere il filo e dare continuità all’impegno nostro, assunto con tutti i lavoratori italiani sotto le bandiere di ‘lavoratori del Nord e del Sud uniti nella lotta’. Uniti contro l’eversione del ‘Boia chi molla’, della mafia, della camorra, contro la politica di emarginazione del Meridione, per il riscatto del lavoro. Sono passati quarant’anni da allora, da quel Primo Maggio 1947, da quando in questa piana le forze del banditismo politico mafioso perpetrarono la strage di lavoratori, di donne, di bambini, tutti figli del popolo del Sud (11 morti di cui 2 bambini, 27 feriti). Si voleva sbarrare la strada con la violenza alle forze del riscatto, della riforma agraria, della rinascita, del progresso e della democrazia nel Mezzogiorno e nell’intero paese. Questa strage fu anche 1a prima delle trame che da allora hanno intossicato la vita politica italiana e su cui non si è mai fatta completa luce sui mandanti politici: poi vennero le stragi di Piazza Fontana a Milano, Piazza della Loggia a Brescia, l’Italicus e quella della stazione di Bologna e altre. Siamo tornati a Portella della Ginestra, perché in questi quarant’anni, grazie alle lotte e ai sacrifici dei lavoratori, la Sicilia, il Mezzogiorno e l’Italia sono cambiati; ma drammaticamente restano, sia pure in forma diversa, i due gravi problemi di allora: la questione meridionale (e si è riaperta la forbice delle differenze a suo sfavore!) e la criminalità organizzata (la mafia, la camorra, la ‘ndrangheta)”.
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CGIL CISL e UIL si ritrovano di nuovo a Portella nel 1997, in occasione del 50° anniversario della strage. Scriverà Guglielmo Epifani, futuro segretario generale e nel 1997 numero due della CGIL, su «Rassegna Sindacale»: “Il sindacato ritorna a Portella delle Ginestre nel giorno della festa del lavoro, a cinquant’anni dalla strage del 1947. Che significato ha oggi questa scelta, al di là dei pur importanti carichi celebrativi e commemorativi? Per molti versi il 1° maggio del 1947 è assai distante dall’Italia di oggi. Si stava ricostruendo, allora, un paese uscito sconfitto e umiliato dalla guerra e dal ventennio fascista. Alcide De Gasperi si apprestava a concludere l’esperienza dei governi di unità nazionale. Era rientrato tre mesi prima dal suo famoso viaggio negli Stati Uniti, dove aveva avuto crediti per la ricostruzione del paese e sollecitazioni per un cambio di maggioranza politica nel quadro del diverso clima mondiale che avrebbe portato di lì a poco alla guerra fredda e alla rigida divisione del mondo in due blocchi. L’Assemblea costituente stava terminando i propri lavori e qualche settimana prima era stato votato l’art. 7 della nuova Costituzione. C’era stata la scissione di Palazzo Barberini e si creavano le premesse per i governi centristi degli anni cinquanta. L’Italia stava imboccando, con grande fatica, la strada della ricostruzione economica e materiale, con la riconversione del proprio apparato industriale e produttivo. Metà del paese viveva ancora nelle campagne, la tradizionale lotta tra latifondisti, contadini e braccianti trovava soprattutto nel Mezzogiorno i suoi nodi più drammatici e conflittuali, e le associazioni mafiose (la prima mafia, quella appunto legata agli interessi e alla cultura del mondo agricolo) operavano per ricostruire il blocco sociale consolidato negli anni del fascismo e reso fragile dalle vicende della guerra e dalle tensioni sociali conseguenti. Portella fu, appunto, il crocevia drammatico di questi processi e segnò, contro il sindacato, l’atto costitutivo del ruolo che la nuova mafia si assegnava nella ricostruzione del paese. Per questo non poteva essere il primo e purtroppo neanche l’ultimo fatto di sangue, come dimostra la straordinaria catena di omicidi e lutti che colpì la parte più esposta della Cgil e della Federbraccianti della Sicilia. Tornare a Portella oggi, in un’Italia che è molto cambiata, ma che conserva ancora dentro di sé contraddizioni storiche non risolte, vuol dire quindi principalmente che le parole d’ordine di quel 1° maggio hanno ancora un valore nelle condizioni dell’Italia odierna; che la battaglia per il lavoro in molte aree del paese deve ancora essere vinta; che la lotta contro la mafia e le altre associazioni criminali non può abbassare la guardia e che la legalità democratica ha bisogno della forza del mondo del lavoro e dei sindacati confederali. In quel piano assolato di Portella, in quella primavera, fu lanciata una sfida ai lavoratori e alle organizzazioni sociali di massa. Una sfida che la Cgil, e soprattutto la Cgil siciliana, ha saputo affrontare e in molte occasioni vincere, senza piegarsi alle intimidazioni, e che oggi ci fa commemorare quei nostri compagni uccisi dalla mano delle bande di mafia con la fierezza di averne rispettato il sacrificio e continuato l’impegno morale e civile”.
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