di Ilaria Romeo
responsabile Archivio storico CGIL
nazionale
Il
15 settembre 1969 muore a Parma Fernando Santi, antifascista, deputato, direttore
responsabile insieme ad Agostino Novella di «Rassegna Sindacale» dal 1958 al
1963, Segretario generale della Camera del lavoro di Milano su designazione del
CLN e Segretario generale aggiunto della CGIL, protagonista
della rinascita democratica e della ricostruzione civile, sociale ed economica
del nostro Paese.
Lo ricordiamo attraverso le parole di Luciano Lama (Segretario
confederale, non ancora generale) il giorno dei funerali: “E’ quasi
impossibile, per uno di noi della Segreteria della CGIL, ricordare l’opera di
Fernando Santi oggi. E’ troppo forte la commozione, la piena delle memorie e
dei sentimenti, il ricordo delle lotte, delle speranze, delle delusioni
sofferte in comune.
Nella
primavera del ‘47, ventidue anni fa, entravamo insieme nella Segreteria
confederale. Egli aveva ricoperto sino a quel momento, la carica di segretario
della Camera del lavoro di Milano. Eravamo in un momento difficile nella vita
sindacale e politica del paese; l’epoca felice dell’unità antifascista, della
lotta partigiana che aveva visto Santi in posizioni di preminenza stava per
concludersi: cominciava il periodo delle rotture, delle discriminazioni
politiche e all’orizzonte sindacale si annunciavano già le nuvole minacciose
delle scissioni. Ad un anno da quel Congresso, infatti nel ‘48, si verificò una
prima scissione e qualche tempo dopo una seconda. Di fronte alla bufera che
investiva la CGIL, che indeboliva l’unità dei lavoratori, Fernando Santi fu,
con Di Vittorio, uno di quegli uomini che combatté con tenacia, con fermezza,
con la forza della sua fede unitaria, ogni attentato all’unità della CGIL,
considerando sempre la compattezza della nostra organizzazione, la sua
efficienza organizzativa, il suo prestigio politico, come un patrimonio di
tutti i lavoratori italiani anche se non iscritti, anche dei militanti in altri
sindacati.
Sin
dalla sua verde giovinezza aveva scelto un’organizzazione sindacale, e un
partito, e a queste scelte, nonostante le avversità, e talvolta i dissensi e le
battaglie politiche restò sempre fedele, tutta la sua vita.
E’
questa, dunque, una delle caratteristiche peculiari della ricca personalità di
Fernando Santi: per lui l’unità dei lavoratori era una meta da perseguire
instancabilmente, inflessibilmente […] la CGIL, va difesa senza incertezze,
anche contro chi pensa a nuove formazioni sindacali in nome di un partito e
magari del suo stesso partito.
«Credo
nell’autonoma funzione del sindacato, in qualsiasi tipo di società civile,
anche nella società socialista, per il suo compito, ovunque necessario, di
sollecitazione, di verifica, di rappresentanza permanente, degli interessi
specifici dei lavoratori. Come credo nella esigenza dell’unità sindacale, nell’unità
della CGIL». Queste parole di Fernando Santi, pronunciate nel famoso discorso
al Congresso di Bologna, quando nel ‘65 il nostro compagno si accingeva a
lasciare la CGIL, sintetizzano insieme la sua concezione del sindacato e il suo
impegno per l’unità.
Egli
seppe felicemente fondere, nella sua concezione del sindacato, lo sprone all’impegno
ideale con la natura delle cose concrete, pratiche. Vogliamo essere, dobbiamo
essere, perché di questo hanno bisogno i lavoratori, «un sindacato che da».
Questa sua definizione nella quale talvolta si innestarono delle polemiche, non
era in lui un appello alla superficialità, all’empirismo deteriore, all’ottimismo
senza principi. Era invece, in un uomo di idee ferme e fermamente professate,
un richiamo alla concretezza, alla necessità di trarre sempre dal dibattito,
anche il più alto, le indispensabili conclusioni pratiche perché il sindacato
traduca sempre la sue strategia, le sue scelte di principio, in fatti, in
conquiste per i lavoratori che l’hanno creato e lo sorreggono con il loro
sacrificio.
Ricordare
l’umanità di Fernando Santi significa - per noi che abbiamo lavorato con lui
tanti anni - rinnovare, approfondire l’angoscia di questo distacco. Egli
sentiva intimamente le pene, i bisogni dei lavoratori. Se ne faceva interprete
nel contatto con le masse, nelle riunioni sindacali, con un linguaggio nel
quale la ricchezza e la perfezione della forma non nascondevano mai la forza della
idea e la profondità del sentimento. Nel rapporto con i compagni era paziente,
anche dolce. Si impennava soltanto quando gli pareva di scorgere una doppiezza,
un partito preso, un troppo contorto atteggiamento tattico che rendesse
difficile ai lavoratori la comprensione di questa o quella scelta del
sindacato.
Dalla
adolescenza aveva scelto la milizia proletaria, la causa dei lavoratori e i
lavoratori lo capivano e lo stimavano, anche quelli che non erano sempre d’accordo
con lui, per la sua onestà, il disinteresse di se stesso, che distingueva il
suo impegno, per la sua capacità di pagare di persona, senza lamenti e con
dignità, quando le vicende della lotta politica si volgevano contro di lui.
Fernando
Santi fu uno dei missionari del sindacalismo e della lotta sociale, appartiene
ad una generazione di apostoli che predicavano il riscatto sociale,
organizzarono i lavoratori e li diressero nelle lotte. E’ uno di quelli che,
anche con limiti ed errori, ci hanno fatti come siamo; hanno fatto Parma e
questa nostra Emilia forte, combattiva, unita, come essa è oggi. Per questo,
compagni, oggi gli operai di Parma e dell’Emilia, sono così numerosi. Ognuno di
noi riconosce in Fernando Santi un figlio generoso di questa nostra terra, di
combattenti tenaci, fortemente impegnati nella lotta di classe e nelle vicende
sociali, anche quando la passione politica e diverse bandiere ci dividono e ci
portano a scontri aspri.
Quest’uomo,
questo combattente, spesso amico, ci lascia. E lascia con noi, la sua compagna
e i suoi figlioli affranti dal dolore. Vogliamo assumere un impegno davanti a
lui: quello di portare avanti, fino alla vittoria, le grandi battaglie
sindacali, e insieme, quello di far maturare, fino al suo compimento, il
processo di unità sindacale. Santi ha dedicato l’intera sua esistenza al
miglioramento della condizione umana dei lavoratori e alla loro unità. Noi lo
onoriamo così”.
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