Gli anni del dopoguerra furono tra i più duri
per la popolazione pistoiese. Il numero dei disoccupati salì vertiginosamente
dalle 6.000 alle 12.000 unità, di cui almeno 2.500/3.000 nella zona montana,
che si aggiungevano a una grave carenza dei generi di prima necessità e a un
carovita galoppante. “Pane e lavoro” furono le parole d'ordine delle numerose
mobilitazioni sociali, che cominciarono fin dal 1944. In una situazione
economica ristagnante, con i lavori di ricostruzione che tardavano a partire e
mal finanziati, quella sociale divenne l'emergenza prioritaria.
Il protagonismo di ingenti masse popolari attivato
dalla Resistenza si esprimeva in un'elevata disponibilità all'azione per
migliorare le proprie condizioni di vita e cercare di dare impulso a scelte di cambiamento.
Gli attori in campo, i prefetti, i sindaci, i carabinieri, la Confindustria, la
Camera del lavoro della CGIL unitaria, i grandi partiti come la DC, il PCI e
quello socialista, ed il CLN fino al 1946, si trovarono costantemente impegnati
un un'opera di mediazione che cercò di contenere la carica esplosiva della disperazione,
trovando accordi e soluzioni di tamponamento, con il sindacato che si fece
carico delle richieste generali della popolazione riconducendo la
conflittualità all’interno delle proprie strutture.
La situazione più critica era in
montagna, dove le uniche attività in grado di garantire l'occupazione erano le
cartiere de La Lima, i traballanti lavori di ricostruzione ma soprattutto la SMI,
al fabbrica della famiglia Orlando, pesantemente compromessa con il fascismo e
che guidava il fronte intransigente padronale insieme alla Confida nelle
campagne. E fu proprio in conseguenza di una mobilitazione dei disoccupati
della montagna che il 28 gennaio 1947 si giunse al primo grande sciopero
generale della provincia.
Il 1947 si chiuse con la rottura delle
trattative sul contratto dei metallurgici, che a Pistoia il 29 dicembre provocò
l'invasione della sede della Confindustria da parte degli operai della San
Giorgio, per la quale vennero denunciate 12 persone e che suscitò una veemente
reazione degli industriali. Il Prefetto, Festa, ne prese spunto per lanciare un’offensiva
contro il movimento sindacale. In Valdinievole l’8 gennaio iniziava uno
sciopero generale, partito da Pescia e legato al problema della disoccupazione.
La prefettura colse l’occasione per ordinare 15 arresti – fra cui 5 donne – arbitrari,
per evitare una possibile agitazione generalizzata dei lavoratori della provincia.
L’improvvida mossa provocò però esattamente quello che voleva evitare. Di fronte
agli arresti, la CGIL non poté che dichiarare un nuovo sciopero generale provinciale,
durante il quale vennero realizzati numerosi blocchi stradali di protesta.
Nella frazione di Bonelle lo scontro si radicalizzò. Un reparto della Celere insieme
a 50 carabinieri caricò i dimostranti che bloccavano l’autostrada, che
resistettero. La parola passò alle armi, con la polizia che aprì il fuoco e
l’invio di due autoblinde. Alla fine restarono feriti in 12, sei per parte.
L’indicente destò grandissima impressione e l’Avanti titolò: «La
Celere adoperata contro gli scioperi. A Pistoia i tedeschi tornati contro i
partigiani». Era il segnale di un deciso cambiamento nella gestione dei
conflitti sindacali.
Tra maggio ed agosto del 1948 la SMI annunciò
progressivamente l’intenzione di procedere al licenziamento di 500 persone. L’atteggiamento
della proprietà era inamovibile. Ne seguì una lunga vertenza, che dette al
Prefetto una nuova possibilità di colpire, faziosamente, il sindacato dopo la
scissione della componente cristiana. Un primo tentativo di “Marcia della fame”
dalla montagna verso il capoluogo venne vietato dal Questore l’11 settembre.
Con la ratifica dei licenziamenti, dal 20 settembre le maestranze della SMI
entrano in sciopero a oltranza. Il 4 ottobre, di fronte al muro aziendale, si
cercò di cambiare tattica, facendo entrare a lavorare tutti i lavoratori,
licenziati e non. Per reazione, il 6 ottobre la SMI attuò la serrata, di
concerto con le autorità che fecero occupare lo stabilimento dalle forze
dell’ordine.
In questo clima, si arrivò a quella
fatidica mattina del 16 ottobre 1948, che molti decenni dopo Natalino
Lucarelli, uno dei manifestanti che vi rimasero feriti, ancora ricordava come
«tremendissima». La CGIL tentò una riedizione della “Marcia della fame” vietata
a settembre. Le autorità bloccarono le strade che portavano a Pistoia, ma le
famiglie della montagna passarono per i sentieri boschivi, arrivando a
Capostrada, da dove mossero verso il centro cittadino. Alle 11:15 gli operai
della San Giorgio entrarono in sciopero di solidarietà e si diressero verso il
centro. Come sempre, l’intenzione era quella di inviare una delegazione dal
Prefetto e di svolgere una manifestazione che dimostrasse con i numeri la forza
delle classi popolari. In città si formò un corteo imponente di 5.000 persone,
aperto dalle donne. Ma quando la testa arrivò in piazza San Leone, sede della
Prefettura, trovò ad accoglierla un cordone della Celere posto a difesa del
palazzo. Per la prima volta il Prefetto si rifiutò di ricevere la delegazione
sindacale dei dimostranti. Anzi la polizia tentò di disperdere la manifestazione,
iniziando una violenta carica con lanci di lacrimogeni. I manifestanti dapprima
arretrarono, poi si rifecero avanti lanciando sassi. Dopodiché fu il caos. Nel
parapiglia la parola passò di nuovo alle armi. La polizia aprì il fuoco. A
terra, nella strada dietro alla piazza, rimasero tre feriti per colpi di arma
da fuoco, Natalino Lucarelli, Sergio Poli – il cui fratello era stato fucilato
dai fascisti alla Fortezza Santa Barbara il 31 marzo 1944 – e Ugo Schiano, esanime.
Sergio Poli anni dopo ricordava così
quanto avvenne: «La Celere bloccava ogni
passaggio, cominciarono i primi tafferugli, manganellate, bombe lacrimogene, il
fumo che accecava. Anche la piazza del mercato dove la gente faceva acquisti
era sotto tiro. La cosa si fece grave
quando fecero eco le scariche dei mitra, prima in aria, ma qualcuna però ad
altezza d’uomo. In quel momento io mi trovavo accanto a Ugo, fu un attimo, il
tempo di qualche parola e fu la fine di una giovane vita. Io, gravemente ferito, all’ospedale in un
momento di risveglio vidi tutti presso di me… Accanto,
il mio amico Schiano, il suo respiro lento e profondo. Chiesi “perché a lui non gli fate niente?” La
risposta fu “lui è morto!”».
Due giorni dopo ci fu il funerale. Sempre
Natalino ci ha lasciato una testimonianza di quella plumbea mattina: «Fu fatta la camera ardente al Sindacato, la
CGIL, che all’epoca era in via Bozzi e da lì, il lunedì 18 ottobre, partì il
corteo funebre. Più che un funerale fu un’immensa manifestazione, per quel
giorno fu indetto lo sciopero generale in Toscana. Al trasporto c’erano tante
persone con le bandiere rosse e le autorità. I compagni della Camera del
Lavoro, Valdesi segretario della Camera del Lavoro, il Sindaco Corsini ed era
arrivato da Roma Roveda della FIOM nazionale che fece l’onoranza funebre. Partì
il corteo, il feretro fu portato in spalla dai compagni di lavoro, seguiva una
fila lunghissima e arrivò a Valdibure dove fu celebrata la messa e sepolto al
cimitero».
Stefano Bartolini
Fondazione Valore Lavoro
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