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Le donne hanno cambiato la storia d'Italia

Il Servizio Sanitario Nazionale (SSN), quello a cui tutti in questi giorni stiamo dicendo grazie, nasce nel 1978 e reca la firma di una donna: la ministra Tina Anselmi (nello stesso anno la Anselmi, cattolicissima, apporrà la sua firma come ministro alla legge 194 sull’aborto).

Definita dai suoi compagni di partito la “Tina vagante” per la sua indipendenza e imprevedibilità, Tina Anselmi è una delle tante donne che hanno cambiato la storia del nostro paese.

Correttamente diceva il presidente della Repubblica Sergio Mattarella l’8 marzo di due anni fa: 

“Non è un caso che alcune delle leggi che hanno inciso profondamente nella realtà italiana siano il frutto dell’intelligenza, e della dedizione, di donne valorose.

Ricordo qualcuno di questi traguardi.

La legge che porta il nome di Lina Merlin, sessanta anni orsono, ha smantellato quel sistema pubblico di sfruttamento della prostituzione, che rendeva lo Stato garante di un’odiosa e insopportabile condizione di semi-schiavitù per migliaia di donne, povere e condannate a una marginalità perpetua. Fu un grande cambiamento per il nostro Paese. Un salto di civiltà.

[…]

Il segno delle donne è impresso, ovviamente, anche nelle leggi che hanno, dapprima, scardinato i principi discriminatori nel mondo del lavoro, e, quindi, hanno inteso impedire le pratiche di aggiramento e di elusione che, nei fatti, mantenevano lo svantaggio per le lavoratrici.

Il percorso della parità non è stato semplice, né scontato. A partire dalla tutela della lavoratrici madri, introdotta dalla legge del 1950, e opera dell'impegno di Teresa Noce e di Maria Federici. Tutela progredita, in seguito, con la riforma dei congedi di maternità del 1971, fino ad approdare, nel 2000 - dopo un trentennio - a una concezione della cura parentale come impegno da condividere tra entrambi i genitori.

Nel cammino di avanzamento dei diritti del lavoro - compiuto da milioni di donne e segnato da battaglie sindacali e civili, talvolta aspre - possiamo ricordare, ancora, la tappa del 1963, quando venne introdotto il divieto di licenziamento a causa del matrimonio. E quella del 1977, che, con sempre maggiore aderenza al dettato costituzionale, ha affermato la piena parità di trattamento nel lavoro tra uomini e donne.

[… ]

Una pietra miliare nell’attuazione della Costituzione è stata la riforma del diritto di famiglia, nel 1975, cui diedero un contributo determinante figure del livello di Maria Eletta Martini, Nilde Iotti, Franca Falcucci e Giglia Tedesco Tatò.

La parità sancita nell’ambito della famiglia ha immesso energia nella nostra vita sociale. Quella legge ha, inoltre, riconosciuto ai minori la piena tutela della personalità, con diritti che prima non venivano loro riconosciuti.

Non va dimenticato che il nuovo diritto di famiglia, nel 1975, vide la luce appena un anno dopo lo scontro referendario sul divorzio.

Il Paese allora si divise; in maniera accesa. Ma in Parlamento, dopo soltanto pochi mesi, vi fu la capacità di raggiungere un compromesso alto, su materia fondamentale, con una normativa di grande valore e qualità.

Le donne, nella guida di questo processo politico di avanzamento, hanno saputo tenere ben in vista gli interessi generali, anche quando le dinamiche dei partiti inducevano alla contrapposizione e al conflitto.

È un grande merito storico.

Questa è stata una vocazione ricorrente della politica al femminile. Le donne parlamentari hanno, spesso, all'occorrenza, saputo intendersi; e operare, impegnarsi, battersi insieme. Credo che questo rappresenti una lezione repubblicana.

Abbiamo ancora - e questo riguarda tutti - avremo sempre bisogno di questa attitudine; del senso di responsabilità di saper collocare al centro l’interesse generale del Paese e dei suoi cittadini.

Il servizio sanitario nazionale - che fissò le fondamenta di un diritto universale alla salute, in precedenza non pienamente garantito - nacque nel 1978 grazie alla ferma determinazione della prima donna ministra, Tina Anselmi, che seppe catalizzare vasti consensi politici”.

La prima donna ministro, sì perché nei primi trent’anni di vita della Repubblica italiana i Consigli dei ministri (tredici in totale) sono composti esclusivamente da uomini: bisogna attendere il 1976 perché una donna sia nominata ministro del Lavoro e della Previdenza sociale dall’allora presidente del Consiglio Giulio Andreotti.

Se si analizza l’andamento della presenza femminile si può notare come siano stati necessari 30 anni per eleggere più di 50 donne al Parlamento (quota 100 è stata superata con la X legislatura nel 1987, e quota 150 con la XV, nel 2006). Soltanto in cinque casi la Presidenza della Camera è stata affidata a una donna (Nilde Iotti per tre legislature, Irene Pivetti e Laura Boldrini), in un solo caso la Presidenza del Senato (Maria Elisabetta Alberti Casellati).

Su oltre 1500 incarichi di ministro assegnati in 70 anni di storia repubblicana le donne ne hanno ottenuti poco più di 80 (dei quali la metà senza portafoglio). 

Nessuna donna ha mai rivestito l’incarico di ministro dell’Economia e delle finanze. Nessuna donna è stata mai investita della carica di presidente del Consiglio o è mai stata eletta alla Presidenza della Repubblica. 

Considerato che le donne in Italia rappresentano più di metà dell’elettorato attivo, il 42% dei lavoratori, il 57,2% dei laureati ed il 41% della produzione del Pil nazionale, verrebbe da chiedersi: se non ora, quando?


Ilaria Romeo

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