Passa ai contenuti principali

La scomparsa di Placido Rizzotto nelle carte della Cgil, di Ilaria Romeo, da «l’Unità» dell’11 marzo 2017


Il due marzo 1948 cade in contrada «Raffo» (Petralia Soprana), sulle Madonie, il capolega della Federterra Epifanio Li Puma, mezzadro e socialista. Il 1° aprile viene assassinato a Camporeale - al confine tra le province di Trapani e Palermo - il segretario della Camera del lavoro Calogero Cangelosi, anch’egli socialista. Al centro, nel tempo e nello spazio, fra questi due delitti si colloca, il 10 marzo, l’assassinio di Placido Rizzotto, partigiano, socialista, segretario della Camera del lavoro di Corleone e dirigente delle lotte contadine.

La sera del 10 marzo 1948 Placido Rizzotto, 34 anni, è sequestrato da un gruppo di persone guidato dal giovane mafioso Luciano Liggio: lo circondano in strada a Corleone, lo caricano sulla 1100 di Liggio, lo portano in una fattoria di Contrada Malvello, lo picchiano a sangue e gli fracassano il cranio. Poi buttano il suo corpo in una foiba di Rocca Busambra.

Sarà il capitano dei carabinieri Carlo Alberto Dalla Chiesa ad indagare sul delitto: il lavoro dell’ufficiale, destinato a divenire un nome celebre nel corso dei decenni successivi, porterà all’incriminazione di Luciano Liggio, Pasquale Criscione e Vincenzo Collura che tuttavia, alla fine del 1952, verranno assolti per insufficienza di prove.

Il rapimento di Placido Rizzotto, 36° omicidio di mafia nella penisola nel secondo dopoguerra,  scuote le coscienze: gli atti terroristici contro il movimento contadino e i suoi dirigenti cominciano il 16 settembre del 1944, con l’attentato a Girolamo Li Causi, segretario regionale del Pci, durante un comizio a Villalba, feudo di don Calò Vizzini, proseguendo negli anni seguenti con gli assalti alle Camere del lavoro, le intimidazioni e i pestaggi dei suoi dirigenti e con i primi omicidi.

La posizione della CGIL è questa volta più che mai netta, verticale, inamovibile.

Il 18 marzo si riunisce la Segreteria confederale, presenti Bitossi, Cuzzaniti, Dalla Chiesa, Di Vittorio, Parri, Santi ed un giovanissimo Luciano Lama. Primo punto all’ordine del giorno la situazione sindacale in Sicilia.

Di Vittorio riferisce sul gravissimo fatto della sparizione di Placido Rizzotto e propone la convocazione del Comitato esecutivo in Sicilia per l’esame della situazione. Viene inoltre deciso di inviare una lettera al governo ed un comunicato stampa per “illuminare”  l’opinione pubblica sulla questione.

Nonostante il voto negativo della Corrente democristiana (la CGIL è ancora unitaria, la scissione avverrà solo nel luglio dello stesso 1948, conseguenza dell'attentato a Palmiro Togliatti del 14), il Comitato esecutivo confederale si riunisce il 31 marzo a Palermo. Presenti Di Vittorio, Noce, Maglietta, Parodi, Dalla Chiesa, Bosi, Massini, Bulleri, Santi e Bitossi. A questi si aggiungono, tra gli altri, i segretari locali Emanuele Macaluso (segretario regionale), Sanzo, Sala, Roberti, Gullo, Leone, Fiorentino, Di Giorgio, Di Cara e Romano.

Di Vittorio, confermando che il problema siciliano è un problema nazionale, avanza delle proposte che vengono discusse e approvate.

Di fronte all’inerzia del governo nel condurre le indagini, la Cgil decide di dare un premio di mezzo milione di lire a chiunque darà notizie utili a ritrovare Rizzotto ed a scoprire i colpevoli del delitto: una cifra importante se si pensa che nel 1950 lo stipendio medio di un operaio è di 25/30000 lire circa.

Soltanto il 9 marzo 2012 l’esame del dna, comparato con quello estratto dal padre di Placido, Carmelo Rizzotto, morto da tempo, confermerà l’appartenenza al sindacalista siciliano dei resti trovati il 7 luglio 2009  all’interno della  foiba di Rocca Busambra a Corleone. 

Il 16 marzo 2012 il Consiglio dei Ministri deciderà per Placido Rizzotto i Funerali di Stato, svolti a Corleone il 24 maggio 2012 alla presenza del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.

Commenti

Post popolari in questo blog

Perché l’umanità ha sempre avuto paura delle donne che volano, siano esse streghe o siano esse libere

Ve le ricordate “le due Simone”? Simona Pari e Simona Torretta, rapite nel 2004 a Baghdad nella sede della Ong per cui lavoravano e rientrate a Fiumicino dopo cinque mesi e mezzo di prigionia. “Oche gulive” le definì un giornale (volutamente con l’articolo indeterminativo e la g minuscola!) commentando il desiderio delle due ragazze di ritornare alla loro vita normale precedente il rapimento. E Greta Ramelli e Vanessa Marzullo, le due ragazze italiane rapite in Siria più o meno dieci anni dopo, ve le ricordate? Ve le ricordate ancora Carola Rackete, Greta Thunberg, Laura Boldrini, da ultima Giovanna Botteri? Cosa hanno in comune queste donne? Probabilmente tante cose, probabilmente nulla, ma una è talmente evidente da non poter non essere notata: sono state tutte, senza pietà e senza rispetto, lapidate sul web. Perché verrebbe da chiedersi? E la risposta che sono riuscita a darmi è solamente una: perché sono donne indipendenti, nel senso più vero ed intimo della parola. An...

Il giuramento di Mauthausen

Si aprono le porte di uno dei campi peggiori e più insanguinati: quello di Mauthausen. Stiamo per ritornare nei nostri paesi liberati dal fascismo, sparsi in tutte le direzioni. I detenuti liberi, ancora ieri minacciati di morte dalle mani dei boia della bestia nazista, ringraziano dal più profondo del loro cuore per l’avvenuta liberazione le vittoriose nazioni alleate, e saluta no tutti i popoli con il grido della libertà riconquistata. La pluriennale permanenza nel campo ha rafforzato in noi la consapevolezza del valore della fratellanza tra i popoli. Fedeli a questi ideali giuriamo di continuare a combattere, solidali e uniti, contro l’imperialismo e contro l’istigazione tra i popoli. Così come con gli sforzi comuni di tutti i popoli il mondo ha saputo liberarsi dalla minaccia della prepotenza hitleriana, dobbiamo considerare la libertà conseguita con la lotta come un bene comune di tutti i popoli. La pace e la libertà sono garanti della felicità dei popoli, e la ricostruzion...

Nel suo volto la storia dei cafoni

Pepite d’Archivio: ancora Gianni Rodari su Giuseppe Di Vittorio in un NUOVO, bellissimo testo da leggere tutto d’un fiato. Il brano, recuperato da Ilaria Romeo (responsabile dell’Archivio storico CGIL nazionale che lo conserva)  è tratto da «Paese Sera» del 3 novembre 1977 “Il 3 novembre del 1957 moriva a Lecco, dove si era recato per inaugurare la sede della Camera del lavoro, Giuseppe Di Vittorio. Ricordo la commozione di quelle ore, mentre la salma veniva trasportata a Roma per i funerali. Ricordo quei funerali. Roma ne ha conosciuti di più grandiosi. Quello di Togliatti, anni dopo, ebbe le proporzioni di una gigantesca manifestazione di forza. Ma non si è mai vista tanta gente piangere come ai funerali di Di Vittorio. Anche molti carabinieri del servizio d’ordine avevano le lacrime agli occhi. La cosa non stupiva. Di Vittorio non era stato solo il capo della Cgil e per lunghi anni un dirigente tra i più popolari del Pci: era diventato un uomo di tutti, stava nel cuor...