Il 3
novembre 1957 muore a Lecco Giuseppe Di Vittorio (L’annuncio della Cgil; L’appello ai lavoratori).
Nel trigesimo della morte, Rassegna Sindacale dedica un intero numero alla
commemorazione del segretario, pubblicando scritti e discorsi di Giovanni
Leone, Giuseppe Rapelli, Louis Saillant, Pietro Nenni, Luigi Russo, Fausto
Gullo, Luigi Allegato, Ferruccio Parri e Riccardo Lombardi (Rassegna Sindacale, n. 21-22, 15-30 novembre 1957).
Riportiamo
nella sua interezza l’intervento di Pietro Nenni (discorso pronunciato il 6 novembre
ai funerali di Di Vittorio):
“II cuore
dei socialisti italiani di tutta Italia è qui stasera attorno al feretro di Giuseppe
Di Vittorio, è qui con la pena dei figli, della vedova, dei familiari, dei
braccianti di Cerignola, è qui con la vostra pena, compagni della CGIL, con la
vostra stessa pena, compagni del Partito Comunista. Per me, coetaneo e vecchio
amico e compagno di Di Vittorio, si conclude stasera un colloquio con lui
durato per oltre tre decenni e che fu il colloquio dei socialisti con il militante
sindacalista e comunista. Cominciò il nostro colloquio qui a Roma 33 o 34 anni
or sono, quando Di Vittorio dette la sua adesione al Partito Comunista nel
convincimento che l’unità operaia non potesse ricomporsi se non nel solco della
Rivoluzione d’Ottobre. Continuò nel lungo esilio, l’esilio con le sue pene, le
sue dispute, le sue speranze. Si trasferì in Spagna quando a Madrid si
affrontarono il fascismo che s’era fatto europeo e l’antifascismo pur esso europeizzatosi,
nel quadro indimenticabile della Calle Velasquez, delle trincee della Ciudad
Universitaria, dei campi di battaglia del Manzanares e dell’Ebro. Riprendemmo
il colloquio mentre si abbatteva sulla umanità la seconda guerra mondiale. Fu
in uno dei momenti più tragici di quella guerra che per un attimo Di Vittorio
mi apparve smarrito e disperato. Era la sera che precedette l’occupazione
tedesco-nazista di Parigi. Ci eravamo dati appuntamento, per decidere cosa si
poteva ancora fare, nei giardini del Palais Royal ai piedi della statua che
mostra Camille Desmoulins nell’atto di salire su una sedia per lanciare l’appello
supremo alle armi. Di Vittorio si chiedeva disperato se quel marmo, se quel
gesto, se quel grido non fossero una menzogna, mentre la Parigi della grande
Rivoluzione e della Comune pareva curvare la testa davanti all’invasore. Ma non
c’è rassegnazione per uomini come Di Vittorio, non c’è disperazione che non dia
luogo ad un rinnovato furore di azione. Di Vittorio riprese la lotta, fu
arrestato, ricondotto in Italia, internato a Ventotene dove lo colse e lo
liberò nel 1943 la prima frattura tra regime e paese, in cui il fascismo andò
distrutto. Il resto è la storia che tutti conoscono, la storia dell’ascensione
di Di Vittorio alle più alte responsabilità sindacali e politiche. In quella
ascensione egli rimase sempre il bracciante e il contadino di Cerignola. Altri
parlavano meglio di Lui. Altri scrivevano meglio di Lui. Altri erano più dotti nel
citare pagine di Marx o di Lenin. Nessuno ha eguagliato il patos umano della
sua eloquenza e della sua azione. Se stasera tutta la Roma del popolo è attorno
al suo feretro, è perché nessuno meglio di Lui ha saputo interpretarne l’animo.
Se il miracolo che ha tentato la fantasia di tanti poeti di una parola che,
gridata su un feretro, risvegli nel disfacimento fisico del corpo umano lo
spirito che quell’uomo animava, se quel miracolo potesse compiersi qui stasera,
la parola che rianimerebbe le spoglie di Di Vittorio sarebbe la parola unità. Egli
vedeva sinceramente e profondamente il valore della unità. Scompare con Lui l’ultimo
dei tre sindacalisti che tredici anni or sono gettarono le basi dell’unità
sindacale. Il primo a cadere fu Bruno Buozzi, trucidato in un vile eccidio
tedesco. Il secondo Achille Grandi. Questa sera noi prendiamo per sempre
congedo da Peppino Di Vittorio. Lasciatemi esprimere a nome dei socialisti la
speranza che l’unità che è stasera nel cuore di milioni di uomini, si traduca e
si risolva nell’unità sindacale di tutti i lavoratori del nostro Paese. Sarà il
più bel monumento eretto alla Tua memoria, caro ed indimenticabile compagno Di
Vittorio!”.
Ilaria Romeo, responsabile Archivio storico CGIL nazionale
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