Nato nel 1926
in Francia, partigiano, azionista, passato successivamente nelle fila comuniste e dottore in giurisprudenza, Trentin entra giovanissimo, chiamato da
Vittorio Foa, nell’Ufficio studi confederale.
Qui conosce Di Vittorio, di cui
apprezza sia la dimensione umana (l’autenticità, la curiosità, l’onestà, la
disponibilità all’autocritica), sia la statura politica e l’idea originale del
sindacato come soggetto politico autonomo e plurale, espressione della volontà
delle masse più povere e diseredate di liberarsi da ogni forma di sfruttamento.
La sua morte, nel 1957, segna
profondamente il giovane Trentin, che in proposito scriverà alla sorella
Franca:
“Mia Franchina, dopo un lungo silenzio
posso scriverti e tramite te anche a Mario. Quest’ultimo periodo è stato
convulso e sconvolgente, per me. Prima, il Congresso di Lipsia, con tutte le
discussioni e le battaglie che ha comportato. Poi una serie di riunioni e di
conferenze in Italia – compresa la commissione elettorale del partito di cui
faccio parte e dove si sono riaperte vecchie ferite dell’VIII Congresso
[…]
La morte di Di Vittorio ha rappresentato
naturalmente il maggiore elemento di sconvolgimento. Ero a Napoli, di ritorno
da Palermo, quando si è diffusa la notizia. E puoi immaginare quanto mi abbia
colpito.
Tuttora non ho ancora completamente
eliminato la sensazione d’angoscia e di dolore che mi ha provocato. Dio sa
quanto conoscessi i suoi limiti e le sue debolezze e quante volte mi sia
ribellato a certe ristrette manifestazioni della sua mentalità di contadino
meridionale. Ma sento sempre di più quello che quest’uomo ha rappresentato per
me, nella mia formazione di uomo politico e – retorica a parte – semplicemente
di uomo. Sento la sua forza e la sua giovinezza, il suo ottimismo intellettuale,
sempre “provocatorio”, come una delle cose più ricche che mi abbiano
trasformato in questi ultimi anni. Qualche volta – e in questi ultimi tempi,
spesso – questa forza diventava meno razionale, ingenua e puramente polemica.
Ma anche in questi casi restava come un’esigenza, come un richiamo a un certo
linguaggio, fresco e stimolante, come l’affermazione polemica di un metodo che
io sento sempre più vivo e valido: non si può mettere in crisi nessun
“sistema”, in una società o in un uomo, se non avendo fiducia nell’elemento
positivo, progressivo, illuminato, che ne ha giustificato l’esistenza, se non
sottolineando l’incapacità di una società o di un uomo a realizzare
vittoriosamente “la sua ragione d’essere”.
Anche in modo ingenuo, Di Vittorio
vedeva nella società capitalistica italiana “la ricchezza che poteva essere
prodotta” – e che non lo era – piuttosto che la “povertà” esistente. Ed era
l’idea della “ricchezza” ad entusiasmarlo.
Per questo non poteva essere un
fatalista o un positivista da quattro soldi. Per questo voleva, con
accanimento, da autodidatta, essere un uomo del proprio tempo: era stupito
dalle macchine, dalla televisione e dai nuovi modelli di automobili. Rispettava
come profeti gli scienziati e i medici. Voleva essere sempre “al corrente” delle
cose. Temeva con angoscia, come uomo e come Cgil, di venir “escluso”, di non
svolgere un ruolo riconosciuto nello sviluppo della società contemporanea.
Era d’altro canto uomo di un’altra epoca
e aveva il fiatone negli ultimi tempi. Il suo sforzo diventava straziante ma
era sempre magnifico e grandioso. La sua morte rappresenta davvero, in Italia,
la fine di un’epoca, quella un po’ “populistica” e romantica del dopoguerra, e
gli inizi di un’altra. E ha saputo essere l’uomo del passato e insieme l’uomo della
transizione. Ha capito quello che c’era di nuovo nella storia e, con tutte le
sue forze, da toro qual era, ha fatto di tutto per capire, e per esistere, da
uomo moderno.
Capisco, ora che è morto, quanto io
l’amassi. Purtroppo non c’è nessuno del suo calibro a sostituirlo, i migliori
hanno un respiro molto più modesto. Gli ultimi giorni sono stati occupati come
puoi immaginare dalle discussioni sulla “successione”. Sembra che sia stata
adottata la soluzione migliore: quella di sostituire Di Vittorio non con un
uomo ma con una nuova segreteria, con un collettivo di uomini nuovi, dopo aver
eliminato tutte le “zavorre”, tutte le mummie. Se si otterrà questo risultato,
avremo fatto un grande passo in avanti”.
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