Il 31 maggio 1996 muore
a Roma Luciano Lama.
Così nel suo diario
personale inedito e conservato presso l’Archivio storico CGIL nazionale lo
ricorda Rinaldo Scheda, segretario confederale della Cgil dal 1957 al 1979.
“La
morte di Luciano Lama ha suscitato dolore, sconforto in molte lavoratrici e
molti lavoratori, anche tra quelli più giovani che non l’avevano conosciuto ma
avevano sentito parlare di lui dai più anziani.
I
rappresentanti delle più importanti istituzioni, a cominciare dal capo dello
Stato, il presidente del Consiglio dei ministri, i dirigenti nazionali delle
confederazioni sindacali, gli esponenti dei partiti politici e delle
associazioni imprenditoriali, alla salma di Lama hanno reso un omaggio non
formale ma hanno invece manifestato una stima sincera e una solidarietà piena
verso lo sgomento dei familiari.
Perché
questa partecipazione? A questo interrogativo in molti hanno già risposto.
Cinquant’anni di attività intensa ai più alti livelli nel sindacato, nelle
istituzioni e nel suo partito hanno lasciato un segno destinato a rimanere […]
E’
noto che la parte fondamentale del suo impegno l’ha dedicata al movimento
sindacale.
L’ho
conosciuto nel 1945 quando gli fu affidata la direzione della Camera del lavoro
di Forlì. Due anni dopo come vice segretario nazionale della CGIL partecipò ai
lavori del Congresso della camera del lavoro di Bologna. Il discorso conclusivo
dei lavori di quel Congresso destarono [sic] in tutti i delegati una
impressione molto positiva. Mi felicitai con lui perché quasi mio coetaneo
dimostrò una capacità molto superiore alla mia e di tanti altri giovani
sindacalisti.
Lo
incontrai a Roma in via Boncompagni.
Fui
destinato, alla fine del 1952, a dirigere la Federazione dei lavoratori edili.
Non ricordo se si era già trasferito alla Federazione dei lavoratori chimici.
La sede della FILCEA era al piano superiore dove con Brodolini lavoravamo alla
FILLEA.
Ci
vedevamo spesso per scambiarci delle opinioni sulla situazione sindacale e
politica che era allora molto difficile.
Evitavamo
di parlare del campionato di calcio perché lui sosteneva la Juventus mentre io in
quel periodo facevo il tifo per il Bologna”.
L’interesse
di Lama verso il calcio è un fatto noto e non isolato: narra la leggenda che
Palmiro Togliatti ogni lunedì mattina chiedesse al vicesegretario del
Pci, Pietro Secchia, che cosa avesse fatto la Juve il giorno prima.
Anche
Enrico Berlinguer, pur avendo nel cuore il Cagliari, alle cui partite assisteva
quando andava in Sardegna per impegni politici, si tenne sul solco del tifo
bianconero.
A proposito di un insospettabile Di Vittorio racconta la moglie Anita: “Durante
il Congresso [I Congresso confederale unitario, Firenze, 1-7 giugno 1947] erano
state organizzate manifestazioni culturali e sportive. Fra queste ultime anche
delle partite di calcio, una delle quali tra baresi e fiorentini. Di Vittorio
doveva consegnare una coppa alla squadra vincente. All’inizio della partita
fece gli auguri ad ambedue le squadre ma certo nel suo intimo parteggiava per i
baresi. Con quanta passione seguì la partita! Per me fu una vera e propria
rivelazione: mi accorsi che Peppino era un «tifoso». Si sbracciava, urlava:
«Dai, Bari! Forza!» Ma i baresi furono clamorosamente sconfitti, e se ben
ricordo, non fecero nemmeno un goal. Di Vittorio dovette consegnare la coppa
alla squadra «stravincente» e lo fece con un sorriso involontariamente amaro.
«Che figura mi hanno fatto fare!» mormorò. Ma poi, sportivamente, si felicitò
con i giocatori fiorentini” (A. Di Vittorio, La mia vita con Di
Vittorio, Vallecchi Editore, Firenze 1965, p. 151).
di Ilaria Romeo
Pubblicato su Rassegna.it
di Ilaria Romeo
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