Lo so, cari compagni, che la vita del
militante sindacale di base è una vita di sacrifici. Conosco le amarezze, le
delusioni, il tempo talvolta che richiede l’attività sindacale, con risultati
non del tutto soddisfacenti. Conosco bene tutto questo, perché anch’io sono
stato attivista sindacale: voi sapete bene che io non provengo dall’alto,
provengo dal basso, ho cominciato a fare il socio del mio sindacato di
categoria, poi il membro del Consiglio del sindacato, poi il Segretario del
sindacato, e così via: quindi, tutto quello che voi fate, che voi soffrite, di
cui qualche volta anche avete soddisfazione, io l’ho fatto. Gli attivisti del
nostro sindacato, però, possono avere la profonda soddisfazione di servire una
causa veramente alta. [...]
Invito a discutere su questo: è giusto
che in Italia, mentre i grandi monopoli continuano a moltiplicare i loro
profitti e le loro ricchezze, ai lavoratori non rimangano che le briciole? E’
giusto che il salario dei lavoratori sia al di sotto dei bisogni vitali dei
lavoratori stessi e delle loro famiglie, delle loro creature? E’ giusto questo?
Di questo dobbiamo parlare, perché questo è il compito del sindacato. [...]
Avete visto che cosa è avvenuto: mano a
mano che il capitalismo riusciva ad infliggere dei colpi al sindacato di classe
e alla CGIL, e quindi a indebolire la classe operaia, non solo si è verificata
una differenza di trattamento dei lavoratori, ma come conseguenza di questa
differenza di trattamento, si è aperto un processo in Italia che tuttora
continua. [...] Si sono aperte le forbici, si è prodotto uno squilibrio sociale
profondo nella società italiana. Supponete, per esempio, che il rapporto fra
salari e profitti fosse 100 per i salari e 100 per i profitti nel 1948. Come è
andato sviluppandosi il processo? I profitti da 100 sono andati a 110, i salari
sono rimasti a 100. Poi i profitti sono andati a 150, i salari sono andati a
105; i profitti sono andati a 200, i salari sono andati a 107; i profitti sono
andati a 300, i salari rimangono a 107-8-9. Quindi si sono aperte due curve: i
profitti si alzano sempre più e i salari stentano a salire, rimangono sempre in
basso. Le conseguenze, allora, di questi colpi ricevuti dalla CGIL ad opera del
grande capitalismo, delle scissioni, delle divisioni dei lavoratori quali sono
state? Ecco: le due curve, la curva dei profitti che aumenta sempre di più, e
la curva dei salari che rimane sempre in basso. [...]
La nostra causa è veramente giusta,
serve gli interessi di tutti, gli interessi dell’intera società, l’interesse
dei nostri figliuoli. Quando la causa è così alta, merita di essere servita,
anche a costo di enormi sacrifici. So che una campagna come quella per il
tesseramento sindacale richiede dei sacrifici, so anche che dà, certe volte,
delusioni amare. Ci sono ancora lavoratori che non hanno compreso, ma non
bisogna scoraggiarsi. Pensate sempre che la nostra causa è la causa del
progresso generale, della civiltà della giustizia fra gli uomini.
Lavorate sodo, dunque, e soprattutto
lottate insieme, rimanete uniti. Il sindacato vuol dire unione, compattezza.
Uniamoci con tutti gli altri lavoratori: in ciò sta la nostra forza, questo è
il nostro credo.
Lavorate con tenacia, con pazienza: come
il piccolo rivolo contribuisce a ingrossare il grande fiume, a renderlo
travolgente, così anche ogni piccolo contributo di ogni militante confluisce
nel maestoso fiume della nostra storia, serve a rafforzare la grande famiglia
dei lavoratori italiani, la nostra CGIL, strumento della nostra forza, garanzia
del nostro avvenire.
Quando si ha la piena consapevolezza di
servire una grande causa, una causa giusta, ognuno può dire alla propria donna,
ai propri figliuoli, affermare di fronte alla società, di avere compiuto il
proprio dovere. Buon lavoro, compagni.
Giuseppe Di
Vittorio al convegno dei dirigenti e degli attivisti della Camera del Lavoro di
Lecco, 3 novembre 1957
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