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Il sorriso di Enrico la notte del 21 giugno - di Ilaria Romeo

Le elezioni politiche del 1976 per il rinnovo dei due rami del Parlamento italiano - le prime elezioni politiche con il voto ai diciottenni - si tengono domenica 20 e lunedì 21 giugno.

A conclusione di una giornata impegnativa, nella notte del 21 un emozionato Enrico Berlinguer si affaccia al balcone delle Botteghe oscure affermando: “Compagne e compagni penso che voi conosciate già le indicazioni che sono venute dai primi risultati. In termini strettamente numerici, noi passiamo dal rappresentare, nel 1972, poco più di un quarto dell’elettorato a rappresentare stabilmente, con radici profonde, un terzo dell’elettorato. Un italiano su tre vota comunista!”.

Effettivamente il Pci ha raggiunto il 34,4% delle preferenze, ottenendo 228 seggi alla Camera (262 saranno quelli della Dc).

Il clima in cui si sono tenute le elezioni è stato teso. 

In tanti avevano temuto il sorpasso elettorale dei comunisti in virtù dell’accorta strategia di Berlinguer tendente a proporre il Pci sullo scenario nazionale come una forza di sinistra moderata pronta a collaborare con la Dc per uscire fuori dalla crisi economica e democratica in cui era piombata l’Italia.

Lo stesso Indro Montanelli, in vista delle elezioni, aveva chiamato a raccolta tutti i moderati invitandoli a turarsi il naso e votare Dc per impedire ai comunisti di assumere le redini del Paese. 

“Nuova impetuosa avanzata del PCI”, titolerà l’Unità il giorno successivo riportando le dichiarazioni del segretario.

Non si può negare che le elezioni politiche del 20 - 21 giugno 1976 segnino storicamente uno spartiacque, un prima e un dopo nella storia dell’Italia repubblicana. 

Inizia il triennio della solidarietà nazionale. Un passaggio incompiuto, con il fallimento dell’idea berlingueriana del compromesso storico e della terza fase della vita politica italiana prospettata da Aldo Moro.

“Molti hanno interpretato le nostre proposte, durante la campagna elettorale, come ansia di partecipare al governo - affermava a caldo Berlinguer parlando con i giornalisti - E’ vero, l’abbiamo fatta questa proposta, nell’interesse del paese, ma in noi non c’è nessuna fretta. Vogliamo sentire quali proposte faranno gli altri partiti, in primo luogo la Dc e il Psi. Poi decideremo”.

Il Parlamento appare ingovernabile ed il «Corriere della sera» si domanda “Si potrà governare?”. 

Si chiede Eugenio Scalfari: “Quale governo in un paese dove le due maggiori forze politiche, Dc e Pci, totalizzano il 73 per cento dei voti, in un Parlamento dove le due aree del centro e della sinistra si fronteggiano col 47 per cento, e dove le condizioni che ciascun partito pone non sono accettate dagli altri ?”.

Nei suoi diari annota Andreotti alla data del 3 luglio: “Oggi Zaccagnini ha preso l’iniziativa di una riunione di tutti i partiti del cosiddetto arco costituzionale, tagliando corto ai suggerimenti di incomunicabilità con i comunisti. E’ vero che si mette l’accento sul carattere istituzionale dell’incontro quasi non si trattasse di un fatto politico. Ma è una bella pretesa catalogare come “tecnica” una bozza d’accordo che vede la sostituzione di Sandro Pertini alla Presidenza della Camera con il comunista Pietro Ingrao”.

Il 5 luglio s’insedia la VII legislatura: per la prima volta nella storia della Repubblica un comunista è eletto alla Presidenza della Camera dei deputati.

“Sono consapevole - dirà quel giorno Ingrao - […] di quanto sia impegnativo succedere in questo incarico ad un uomo della statura morale e politica di Sandro Pertini, al quale rivolgo un saluto molto affettuoso e rinnovo il ringraziamento di tutti per ciò che egli ha dato al prestigio e al funzionamento del Par1amento italiano, alla lotta contro il fascismo, per la democrazia e la libertà del nostro popolo. Questa legislatura si apre in un momento grave. Tutte le cose intorno a noi sottolineano l’urgenza di procedere ad un profondo rinnovamento della vita economica e dell’apparato produttivo, indispensabile per ridurre il flagello dell’inflazione, per aprire una possibilità di lavoro qualificato per milioni di giovani e di donne, oggi senza prospettiva, per restituire forza, prestigio e stabilità all’Italia nell’economia mondiale e nel tormentato orizzonte internazionale. Ciò domanderà grande rigore e giustizia nelle scelte che compirete, severità nel costume politico, intelligenza innovativa e respiro democratico nella mobilitazione delle energie creative di grandi masse chiamate a portare il paese fuori dalla pesante crisi che lo percuote. […] Permettetemi al di là di ogni valutazione di parte di cogliere nella larghezza e nella varietà dei consensi che hanno portato alla mia elezione un segnale: il segno che sta avanzando fra le forze politiche l’esigenza di un rapporto nuovo, che - mantenendo a ciascuna di esse la sua fisionomia - porti ad un rinvigorimento e ad un arricchimento delle istituzioni democratiche”.

Alle 21 e 30 del 29 luglio 1976 il Quirinale comunica la lista dei ministri presentata da Andreotti.

“Come definire questo governo? - dirà il divo -  Chiamarlo ‘delle elezioni’ era piatto, ‘della non belligeranza’ ricordava l’illusione di pace nel ’39-40 . Fu il mio consigliere economico Capuggi a trovare una etichetta brillante: eravamo il governo della ‘non sfiducia’”.

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