Passa ai contenuti principali

Peppe Valarioti, insegnante precario, dirigente comunista ucciso dalla ‘ndrangheta - di Ilaria Romeo

Nel 1980 Giuseppe Valarioti è segretario di sezione del Partito comunista italiano di Rosarno e consigliere comunale. 
La sera dell’11 giugno ha appena terminato di cenare al ristorante La Pergola con i suoi compagni di partito per festeggiare la vittoria alle amministrative. Si tratta di un risultato inatteso dopo la sconfitta dell’anno precedente, un risultato importante raggiunto grazie ad una campagna elettorale impostata completamente sulla lotta alla ‘ndrangheta.
I colpi sono esplosi dal buio. Peppe cade urlando nel suo dialetto. “Compagni. Mi hanno sparato”, dice quasi esanime tra le braccia dell’amico fraterno Peppino Lavorato, prima di una inutile, folle corsa all’ospedale. 
Ai funerali, scrive sul proprio profilo Facebook l’Associazione daSud, “Donne in lacrime. Decine e decine di persone che osservano, con partecipazione, dai balconi e dalle finestre del paese. Un serpentone di corone floreali nelle mani dei ragazzi. La sfilata dei gonfaloni dei comuni della Piana di Gioia Tauro. La banda musicale. I sindaci con la fascia tricolore. Le bandiere rosse che sventolano verso il cielo di Calabria. Un palco allestito in Piazza Calvario su cui sale Achille Occhetto. “Stai pur certo, Peppe, noi abbiamo capito il messaggio che viene dal tuo sacrificio”, le sue parole durante l’orazione funebre. Ed infine, triste colonna sonora di quel “funerale di massa”, i rintocchi delle campane che quel giorno suonano a lutto per tutti. Così Rosarno, la Calabria, l’Italia salutano il 12 giugno del 1980 Peppe Valarioti, insegnante precario, dirigente comunista ucciso dalla ‘ndrangheta".
Seguirà un processo fallito, con Giuseppe Pesce accusato dal pm Tuccio come mandante, ma assolto per insufficienza di prove. Qualche anno dopo, grazie alle rivelazioni del pentito Pino Scriva, emergerà il ruolo di altri due pericolosi ‘ndranghetisti, Giuseppe Piromalli e Sante Pisani, ma anche l’inchiesta bis non approderà a nulla e sarà archiviata per insufficienza di prove. Il Pci si era costituito parte civile nel processo di primo grado, ma, caso unico e raro, di quel processo non si celebrerà mai l’appello.
A Peppe Valarioti, insegnate innamorato dell’archeologia e della sua terra, della musica, della letteratura e della politica, quella bella, quella pulita, è stata intitolata una delle piazze principali di Rosarno, a poche decine di metri dalla Casa del Popolo, vecchia sede del Pci, che porta il suo nome. Al centro della piazza, in anni più recenti, è stata collocata una scultura, opera dell’artista Maurizio Carnevali, che rappresenta la morte di Valarioti ed è dedicata a tutte le vittime di mafia. Il Comune di Rosarno, negli anni ’90 ha anche istituito un premio a lui intitolato assegnato nelle varie edizioni all’impegno antimafia e a quello sociale dimostrato da vari enti, personaggi e istituzioni.
Diceva l’ex sindaco di Rosarno Giuseppe Lavorato nel 2010 all’auditorium del liceo scientifico di Rosarno per la commemorazione per i 30 anni dell’omicidio: “Se non c’è dubbio che le attività economiche presenti a Rosarno e nella Piana furono certamente il fine dell’assassinio, il fatto scatenante fu lo scontro politico che la mafia intese come sfida pericolosa per il suo prestigio, il suo potere, i suoi disegni”.
Giovedì 11 giugno 2020, alle ore 12.00, a Gioia Tauro (Reggio Calabria), il Museo archeologico Mètauros, dedicherà allo studioso Giuseppe Valarioti, in occasione del quarantennale della sua scomparsa, la saletta conferenze del suo Museo.
“Pantaloni di velluto - scrive ancora sul proprio profilo l’Associazione daSud - giacche con le toppe ai gomiti, occhiali neri. Nei panni dell’intellettuale Peppe ci sta bene. Con semplicità e spontaneità. Perché se c’è da vendemmiare o andare in campagna, vivere quei riti insieme alla sua famiglia è una festa a cui non si può rinunciare.
Peppe è un comunista che sa entrare in relazione con tutti, comunicando con naturalezza. Parla con la gente che si spacca la schiena per arrivare a fine mese e con i baroni dell’università, con i giovani scolarizzati e con i vecchi contadini. In casa parla solo dialetto ma sua madre sa che quel figlio è capace di parlare come si parla “alla televisione”.
E soprattutto, Peppe sa leggere la speranza negli sguardi dei bambini della sua terra anche quando la speranza non c’è, sbriciolata, giorno dopo giorno, dal potere della ‘ndrangheta”.
La settimana successiva, il 19 giugno, verrà formalizzato il protocollo di intesa tra Filcams Calabria, Associazione daSud e Comune di Gioia Tauro per la realizzazione di ‘Casa Valarioti’, una struttura, nelle intenzioni dei promotori, che possa visibilmente essere strumento di impegno e di memoria, oltre che di opportunità e speranza per i calabresi. 
Casa Valarioti, nasce dove la ‘ndrangheta ha portato morte e distruzione, dove il lavoro ed i diritti vengono negati.
L’idea di base è quella di dare vita ad un albergo che sia funzionale alle attività del luogo dov’è collocato e che quindi abbia un modello organizzativo improntato sulla legalità e sulla condivisione dei luoghi; che sia fruibile alle attività di ricezione, accoglienza, ristoro, formative e lavorative principalmente delle attività economiche e commerciali che ruotano intorno al Porto di Gioia Tauro.
Un progetto ambizioso che ha bisogno di essere ideato e progettato attraverso il contributo di operatori economici, sociali e culturali e finanziato con il contributo di attività produttive, associazioni, organizzazioni e della collettività.
Perché di Peppe Valarioti non ci resti solo il ricordo di un uomo che diceva ai suoi compagni “Se qualcuno pensa di intimidirci si sbaglia di grosso, i comunisti non si piegheranno mai”, ma una memoria viva che si traduca in impegno tocca a noi agire: il nostro dovere è non lasciare che la sua sia soltanto una storia da raccontare, ma rimanga un modello da seguire. 
Lui sacrificò la vita, a noi si chiede molto meno: lavoriamo per unire i lavoratori dove li vogliono dividere, per l’integrazione, per la difesa della democrazia e la completa attuazione della nostra Costituzione. Lavoriamo con la consapevolezza di servire una causa grande, una causa giusta. Lo dobbiamo a Peppe e a noi stessi.
Lo dobbiamo a quella Calabria che “quando ci vai piangi due volte, quando arrivi e quando te ne vai”, a quella terra magica, bellissima, popolata da uomini e donne generosi, coraggiosi e presenti che in questa emergenza non ha fatto mancare, come sempre, il proprio contributo.
Una terra meravigliosa che alla ‘ndrangheta ha detto e continuerà a dire sempre NO!

Commenti

Post popolari in questo blog

Perché l’umanità ha sempre avuto paura delle donne che volano, siano esse streghe o siano esse libere

Ve le ricordate “le due Simone”? Simona Pari e Simona Torretta, rapite nel 2004 a Baghdad nella sede della Ong per cui lavoravano e rientrate a Fiumicino dopo cinque mesi e mezzo di prigionia. “Oche gulive” le definì un giornale (volutamente con l’articolo indeterminativo e la g minuscola!) commentando il desiderio delle due ragazze di ritornare alla loro vita normale precedente il rapimento. E Greta Ramelli e Vanessa Marzullo, le due ragazze italiane rapite in Siria più o meno dieci anni dopo, ve le ricordate? Ve le ricordate ancora Carola Rackete, Greta Thunberg, Laura Boldrini, da ultima Giovanna Botteri? Cosa hanno in comune queste donne? Probabilmente tante cose, probabilmente nulla, ma una è talmente evidente da non poter non essere notata: sono state tutte, senza pietà e senza rispetto, lapidate sul web. Perché verrebbe da chiedersi? E la risposta che sono riuscita a darmi è solamente una: perché sono donne indipendenti, nel senso più vero ed intimo della parola. An

Franca Rame, Lo stupro

C’è una radio che suona… ma solo dopo un po’ la sento. Solo dopo un po’ mi rendo conto che c’è qualcuno che canta. Sì, è una radio. Musica leggera: cielo stelle cuore amore… amore… Ho un ginocchio, uno solo, piantato nella schiena… come se chi mi sta dietro tenesse l’altro appoggiato per terra… con le mani tiene le mie, forte, girandomele all’incontrario. La sinistra in particolare. Non so perché, mi ritrovo a pensare che forse è mancino. Non sto capendo niente di quello che mi sta capitando. Ho lo sgomento addosso di chi sta per perdere il cervello, la voce… la parola. Prendo coscienza delle cose, con incredibile lentezza… Dio che confusione! Come sono salita su questo camioncino? Ho alzato le gambe io, una dopo l’altra dietro la loro spinta o mi hanno caricata loro, sollevandomi di peso? Non lo so. È il cuore, che mi sbatte così forte contro le costole, ad impedirmi di ragionare… è il male alla mano sinistra, che sta diventando davvero insopportabile. Perché me l

Nel suo volto la storia dei cafoni

Pepite d’Archivio: ancora Gianni Rodari su Giuseppe Di Vittorio in un NUOVO, bellissimo testo da leggere tutto d’un fiato. Il brano, recuperato da Ilaria Romeo (responsabile dell’Archivio storico CGIL nazionale che lo conserva)  è tratto da «Paese Sera» del 3 novembre 1977 “Il 3 novembre del 1957 moriva a Lecco, dove si era recato per inaugurare la sede della Camera del lavoro, Giuseppe Di Vittorio. Ricordo la commozione di quelle ore, mentre la salma veniva trasportata a Roma per i funerali. Ricordo quei funerali. Roma ne ha conosciuti di più grandiosi. Quello di Togliatti, anni dopo, ebbe le proporzioni di una gigantesca manifestazione di forza. Ma non si è mai vista tanta gente piangere come ai funerali di Di Vittorio. Anche molti carabinieri del servizio d’ordine avevano le lacrime agli occhi. La cosa non stupiva. Di Vittorio non era stato solo il capo della Cgil e per lunghi anni un dirigente tra i più popolari del Pci: era diventato un uomo di tutti, stava nel cuore de