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Uomini piccoli piccoli - di Ilaria Romeo

Sulla scia di quanto avvenuto a Bristol dopo la morte di George Floyd, dove è stata abbattuta la statua che rappresentava il mercante di schiavi Edward Colston, dagli Stati Uniti all’Europa si diffondono le richieste di rimozione o atti di deturpamento  dei monumenti che rimandano alla supremazia razziale. 
Nella rivolta contro i simboli della colonizzazione e dello schiavismo è finita anche la statua di Indro Montanelli a Milano.
“A Milano - hanno scritto in una lettera aperta al sindaco Sala ‘i Sentinelli’ sulla loro pagina Facebook - ci sono un parco e una statua dedicati a Indro Montanelli, che fino alla fine dei suoi giorni ha rivendicato con orgoglio il fatto di aver comprato e sposato una bambina eritrea di dodici anni perché gli facesse da schiava sessuale, durante l'aggressione del regime fascista all’Etiopia. Noi riteniamo che sia ora di dire basta a questa offesa alla città e ai suoi valori democratici e antirazzisti e richiamiamo l’intero consiglio a valutare l’ipotesi di rimozione della statua, per intitolare i Giardini Pubblici a qualcuno che sia più degno di rappresentare la storia e la memoria della nostra città Medaglia d’Oro della Resistenza. Dopo la barbara uccisione di George Floyd a Minneapolis le proteste sorte spontaneamente in ogni città con milioni di persone in piazza e l’abbattimento a Bristol della statua in bronzo dedicata al mercante e commerciante di schiavi africani Edward Colston da parte dei manifestanti antirazzisti di Black Lives Matter richiamiamo con forza ogni amministrazione comunale a ripensare ai simboli del proprio territorio e a quello che rappresentano”. 
Se il Consiglio comunale meneghino al momento tace, sulla vicenda è invece intervenuto il leader della Lega Matteo Salvini dichiarando: “Giù le mani dal grande Indro Montanelli! Che vergogna la sinistra, viva la libertà”.
Ma Indro Montanelli era veramente ‘grande’? E che cos’era, realmente, quel madamato del quale lo scrittore sembrava non vergognarsi neanche un po’?
Il termine madamato designava, inizialmente in Eritrea e successivamente nelle altre colonie italiane, una relazione temporanea more uxorio tra un cittadino italiano (soldati prevalentemente, ma non solo) ed una donna nativa delle terre colonizzate, chiamata in questo caso madama (molto meno di una moglie e poco più che una schiava).
Una forma di contratto sociale segnata dal dominio autoritario dell’uomo sulla donna, del colonizzatore sull’indigeno, dell’adulto sul bambino.
Usuale era infatti la pratica di scegliere come ‘spose’ bambine vergini - strappate alle famiglie - anche per avere una minore possibilità di contrarre malattie veneree.
Raccontava Indro Montanelli in una intervista rilasciata a Enzo Biagi per la Rai nel 1982: “Aveva dodici anni, ma non mi prendere per un Girolimoni, a dodici anni quelle lì erano già donne. L’avevo comprata a Saganeiti assieme a un cavallo e un fucile, tutto a 500 lire. Era un animalino docile, io le misi su un tucul con dei polli. E poi ogni quindici giorni mi raggiungeva dovunque fossi insieme alle mogli degli altri ascari. Arrivava anche questa mia moglie, con la cesta in testa, che mi portava la biancheria pulita”.
L’episodio era già stato rievocato in precedenza durante il programma di Gianni Bisiach L’ora della verità: “Pare che avessi scelto bene - raccontava nell’occasione Montanelli - era una bellissima ragazza, Milena, di dodici anni. Scusate, ma in Africa è un’altra cosa. L’avevo regolarmente sposata, nel senso che l’avevo comprata dal padre”.
“La comprai assieme a un cavallo e a un fucile - continua nel suo aberrante racconto il giornalista - il tutto per 500 lire. Lei era un animalino docile. Quando me ne andai la cedetti al generale Pirzio Biroli, un vecchio coloniale che era abituato ad avere il suo piccolo harem, a differenza di me che ero monogamo perché non potevo consentirmi grandi lussi”.
“Faticai molto a superare il suo odore dovuto al sego di capra di cui erano intrisi i suoi capelli - aggiunge un evidentemente mai pentito Montanelli nel 2000 - e ancor di più a stabilire con lei un rapporto sessuale perché era fin dalla nascita infibulata: il che, oltre a opporre ai miei desideri una barriera pressochè insormontabile (ci volle, per demolirla, il brutale intervento della madre), la rendeva del tutto insensibile”.
Recita un incartamento della Corte d’Appello di Addis Abeba del 31 gennaio 1939: “Nel caso di un nazionale quale confessi di aver preso con sé un’indigena, di averla portata con sé nei vari trasferimenti, di volerle bene, di averla fatta sempre a mangiare e dormire con sé, di avere consumato con essa tutti i suoi risparmi, di avere fatto regali ad essa e alla di lei madre, di averle fatto cure alle ovaie affinché potesse avere un figlio, di avere preso un’indigena al suo servizio, di avere preparato una lettera a S.M. il Re Imperatore per ottenere l’autorizzazione a sposare l’indigena o almeno a convivere con lei, si verifica un fenomeno quanto mai macroscopico di insabbiamento, perché qui non è il bianco che ambisce sessualmente la venere nera e la tiene a parte per tranquillità di contatti agevoli e sani, ma è l’animo dell’italiano che si è turbato ond’é tutto dedito alla fanciulla nera sì da elevarla al rango di compagna di vita e partecipe ed ogni atteggiamento anche non sessuale della propria vita. È pertanto opportuno comminare la pena, sebbene sia un incensurato, in misura che non renda possibile la condanna condizionale perché è tale e tanta l’ubriacatura del colpevole che tornerebbe a convivere con l’indigena ove lo si scarcerasse. In concreto va inflitto un anno e un mese di reclusione, bastevoli a snebbiare il cervello dell’italiano e a disperdere la femmina in cento altri contatti che la diminuiscano di pregio per il nazionale e la vincolino a nuovi interessi e forse a nuovi interessati affetti”.
“Non si verifica madamismo - specificava la medesima Corte il 14 marzo 1939 - nel caso di un nazionale che, assunta come domestica una donna indigena, la tenga in casa con un centinaio di lire mensili per salario, e se ne serva sessualmente, giacendo con lei tutte le volte che ne senta il bisogno, raccomandandole di non concedere altrui favori, ad evitare contagi lei, contaminazioni lui, ma dopo quaranta giorni circa, sente di sbandare da quelli che sono i doveri razziali di ogni buon italiano e si disfa della donna. Non vi fu comunanza di letto, non di mensa, sebbene prestazioni sessuali continuate ed esclusive, ma non per un periodo di tempo che autorizzi si dica formata una costanza e duraturità di rapporti tale da tramutare l’uso fisiologico del sesso in relazione coniugale”.
Oltre alla schiavitù sessuale, alle morti delle bambine a causa delle violenze sessuali, o per complicazioni durante le gravidanze ed il parto, tutto questo produrrà un’altra atrocità non secondaria: il triste destino dei figli nati dagli abusi, “meticci” non riconosciuti dai padri la cui unica sorte era quella di essere abbandonati.
Che dire Matteo, Indro Montanelli è stato probabilmente un grande giornalista, hai ragione, ma allo stesso tempo era un uomo piccolo piccolo, del quale non andiamo fieri, neanche un po’.

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